FREE FALL JAZZ

Se sulle nostre pagine dovesse campeggiare un Rollins sarebbe quasi scontato pensare allo storico Sonny, decisamente più in tema rispetto all’incazzoso Henry, la cui Rollins Band non ha comunque mai nascosto il proprio amore per jazz e dintorni (ingaggiando pure l’ex Defunkt Melvin Gibbs al basso). Presto verrà anche il momento di parlare del “Saxophone Colossus”, per ora accontentatevi del suo omonimo più muscoloso e tatuato: non tanto per ribadire l’importanza dei suoi gruppi (Black Flag e, appunto, Rollins Band) per il rock degli ultimi 30 anni (discorso sacrosanto, ma che ci porterebbe fuori tema), quanto per approfondire il suo legame con la musica di cui leggete (si spera, eh) da queste parti. Un legame traducibile fondamentalmente in un nome e un cognome: Charles Gayle. Quando ho scritto il precedente articolo su quest’ultimo tra l’altro non avevo idea che ce ne sarebbe stata una seconda puntata, ma una volta deciso di voler approfondire questa joint venture la scelta è stata naturale conseguenza.

La collaborazione tra Gayle e Rollins risale a delle session svoltesi verso il ’93 o il ’94. Il primo è tornato ufficialmente in pista da circa un lustro, guadagnandosi sponsor per l’epoca assai prestigiosi come i Sonic Youth, che permettono alla sua fama di scavalcare, seppur sempre a livello underground, gli steccati del jazz; il secondo ha appena sfornato una manciata di capolavori epocali, in procinto di essere seguiti dall’ancor ottimo ‘Weight’. I risultati dell’insolita unione vedranno finalmente la luce in ‘Weighting’, ottima raccolta di outtake e “frattaglie” risalenti a quegli anni che il buon Rollins pubblicherà nel 2004 per la 2.13.61, sua etichetta personale. Più che il disco nel complesso (che pure regala roba di buon livello), quel che ci interessa analizzare in questa sede è ovviamente il materiale con Gayle: 4 brani per ben 40 minuti di musica. Il tutto si rivela interessante sia per vedere finalmente la Rollins Band alle prese con una passione, quella jazzistica, in precedenza solo intravista, sia per ascoltare il sassofonista suonare con uno stile più o meno lontano dal parossismo free delle sue uscite dell’epoca.

I temi delle improvvisazioni si rifanno a una serie di pezzi già usati da Rollins come b-side dei singoli ‘Liar’ e ‘Disconnect’, le cui nuove versioni finiscono col differire abbastanza dalle originali. ‘Miles Jam #2’ è un minaccioso tour de force di 12 minuti dove il parlato (più che cantato) di Henry è sorretto dal basso di Gibbs, funky ma allo stesso tempo molto concreto e privo di “fughe” virtuosistiche, con il sax di Gayle che s’intreccia con le chitarre per creare un sottofondo al limite del rumorismo. Unica controindicazione: la durata. Il pezzo è ripetitivo, di minuti ne sarebbero bastati la metà. ‘Plague #3’ è invece il primo momento memorabile: scazzatissimo e pestone come il miglior Rollins dell’epoca, col sax altrettanto scazzatissimo e pestone a far da valore aggiunto. Se ne vorrebbe ancora, e a strappare applausi arriva il macigno ‘Night Sweat’, che a tratti vira verso il noise core: più lento nei ritmi, ma devastante come un’ipotetica versione degli Unsane allargata da un sassofonista psicotico. ‘Jam #1’ dura quasi un quarto d’ora, ma sviluppa in maniera più convincente le intuizioni della più blanda ‘Miles Jam #2’: spina dorsale è sempre un Gibbs in stato di grazia, ma Rollins stavolta canta e il sax di Gayle abbandona il ruolo di sottofondo ai limiti del cacofonico per emergere con uno stile molto più rilassato. Circa a metà dell’opera arriva il cambio di marcia e i nostri tornano a pestare incazzati fino alla fine.

Quaranta minuti sono già tanti, ma l’impressione è che la carne al fuoco fosse così buona da poterci ricavare un intero album, se solo ci fosse stata la voglia e la pazienza di lavorarci un po’ su. Ma è risaputo, i se e i ma sono la sorgente degli stupidi (cit.), e con loro non si va da nessuna parte: quel che resta è comunque roba di gran lunga superiore alla media, per la quale invocare il solito recupero d’uopo.

Appendice 2.0: per una serie di contingenze, in circa tre mesi non sono ancora riuscito a passare al negozio di cui parlavo nell’articolo precedente. Quel cofanetto, quindi, per ora non l’ho ricomprato. Sarà sempre lì? Lo scoprirete se ci sarà una prossima puntata. (Tony Aramini)

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