FREE FALL JAZZ

downloadLa scena musicale israeliana con il trentacinquenne pianista e compositore Omer Klein si conferma una delle più rigogliose e creative nel panorama della musica improvvisata contemporanea e del jazz, portando in dote una quantità di protagonisti qualitativamente paragonabili al livello dei migliori esponenti in circolazione sulla scena internazionale. Oltre a Klein, si possono infatti elencare il trombettista Avishai Cohen, con la sorella clarinettista e sassofonista Anat, i pianisti Yonathan Avishai, Shai Maestro e Yaron Herman, i contrabbassisti Omer Avital e Avishai Cohen, il chitarrista Gilad Heckselman, il trombonista Rafi Malkiel (che abbiamo potuto apprezzare ad inizio 2016 a Milano nell’ottetto “latin” di Arturo O’Farrill) e il collega Avi Lebovich (titolare di una eccellente big band composta da giovani talenti israeliani con la quale Klein si è esibito come ospite nell’ultima stagione di Aperitivo in Concerto), il clarinettista Oran Erkin; sono solo alcuni dei nomi già da tempo noti agli appassionati più avveduti.

Il contributo degli ebrei al jazz negli U.S.A d’altronde è storicamente noto (sono centinaia i nomi dei jazzisti bianchi americani di origine ebrea, tra i più grandi, che si potrebbero snocciolare) e da considerare senza ombra di dubbio il più importante dopo quello afro-americano, con buona pace di certi recenti sproloqui diffusi nel nostro paese circa la preponderanza del contributo italiano al jazz. La particolarità della generazione di musicisti appena citati è che è composta da tutti (o quasi) nativi di Israele, poi trasferiti, più o meno per lunghi periodi, negli Stati Uniti per studiare musica e jazz, confrontandosi giornalmente con i colleghi americani. Proprio per tale ragione tutti costoro mostrano, oltre ad una grande preparazione musicale generale, una specifica conoscenza del jazz e della sua tradizione e una proprietà idiomatica nel suonare (soprattutto dal punto di vista dell’approccio ritmico all’improvvisazione) che li rende distinguibili solo per l’influenza dalle culture musicali ebraiche e mediorientali, fortemente percepibile in gran parte delle loro composizioni, peraltro ben miscelate con le componenti americane e afro-americane.

Omer Klein ha seguito analogo genere di percorso: cresciuto in Israele, ha studiato dal 2005 presso il New England Conservatory di Boston con Danilo Perez e ha continuato i suoi studi a New York con Fred Hersch, lavorando nel contempo con Joel Frahm, Mark Feldman, Clarence Penn, Ben Street, Meshell Ndegeocello, Jason Lindner, Avishai Cohen, Donny McCaslin e Jaleel Shaw. Dopo l’esordio discografico da leader nel 2007 (Introducing Omer Klein), il talentuoso pianista ha già prodotto altre sei incisioni a suo nome e vive attualmente a Dusseldorf, in Germania, dove ha registrato questo Fearless Friday (2015) nel famoso Bauer Studios di Ludwigsburg in compagnia di Haggai Cohen-Milo al contrabbasso e Amir Bresler alla batteria.

Oltre che nel ruolo di dotato strumentista, Klein si rivela qui anche un brillante compositore in uno stile di scrittura che mescola sapientemente spunti mediorentali (Yemen e Niggun), con colori classici e contemporanei. Klein è dunque il protagonista dei dieci brani ben supportato dai colleghi della ritmica, dimostrando di essere anche un fantasioso improvvisatore e un pianista meravigliosamente ritmico sin dal tema d’esordio: il gioioso Fearless Friday, un tema orecchiabile come se ne sentono pochi nel jazz di oggi e che potrebbe fare da sigla di una qualsiasi trasmissione radiotelevisiva, caratterizzato da una vivacità ritmica e una chiarezza melodica davvero non comuni. L’impostazione pianistica e la gestione del trio per il resto è molto moderna ma comunque pienamente dentro la tradizione jazzistica, con uno sguardo a un Brad Mehldau (Tears On A Bionic Cheek) in versione complessivamente più estroversa, Ahmad Jamal, ma anche a Ramsey Lewis.

Tra i dieci temi, uno solo è una rivisitazione, peraltro molto originale e sofisticata, di una delicata composizione di Duke Ellington come Azure, tra le sue meno battute, confermando per l’ennesima volta quanto sia fuorviante la polemica sull’uso o meno degli standard nella musica improvvisata odierna. Tutte le altre composizioni presentano spunti di interesse, con una particolare menzione per il relax esecutivo della suadente Cally Lily.

Concludendo, Fearless Friday documenta senza dubbio una delle figure più interessanti e da tenere d’occhio del pianismo jazz contemporaneo.
(Riccardo Facchi)

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