FREE FALL JAZZ

Qualche tempo fa si è tenuta la miliardesima edizione del Festival di Sanremo, con tutto il solito regolare codazzo di polemiche, favoriti, sfavorite, nuove proposte, vecchie mummie e chi più ne ha più ne metta. Niente di diverso dalle edizioni passate né, vien da pensare, da quelle future. Nell’edizione 2016 ha fatto scalpore la presenza di un musicista in particolare, Enzo Bosso, pianista e compositore, purtroppo affetto da SLA a soli 44 anni. Certamente è da applaudire la forza di volontà e il coraggio di una persona che si spinge fino a Sanremo per dimostrare di farcela ancora. Chiunque abbia un account su Facebook avrà visto link e video condivisi allo sfinimento, nei momenti immediatamente successivi al Festival, perché la vicenda umana di Bosso non può certo lasciare indifferenti. Al punto che le esplosioni di superlativi per il musicista piemontese si sono sprecate e si è parlato, subito ed automaticamente, di grande, grandissimo, di più.

Qui in Italia abbiamo un po’ il debole per questo tipo di storia, dell’infelice e malato che con sacrificio e abnegazione trionfa sulla malattia e ci regala qualcosa della sua anima – togliete il glamour del mondo dello spettacolo e sembra quasi una novella raccontata dal maestro del Libro Cuore, quelle cose tipo ‘La piccola vedetta lombarda’ o ‘Il bersagliere paralitico caduto nella pece’. Ovviamente però la realtà è un’altra, malattia e commozione del pubblico non trasformano un musicista in un grande musicista. Andrea Bocelli non è Stevie Wonder. Tutto questo per dire che, pur con tutta l’umana simpatia per Bosso, la sua musica mi sembra anonima e innocua, sullo stile di Ludovico Einaudi. Ma non ci sarebbe nessun motivo per scrivere questo articoletto, non fosse che, appunto, se il Libro Cuore vende ci sarà un perché. Finisce il Festival e Ezio Bosso viene cooptato a Umbria Jazz, la sera del 10 luglio, dove presenterà pure il suo album. Riflessi e rapidità notevoli da parte dell’organizzazione del festival di Perugia, niente da dire. Se non che, per un compositore italiano davvero brillante, come Carlo Boccadoro, non vediamo affatto lo stesso dispiegamento di forze.

L’altra faccia della medaglia l’abbiamo vista lo scorso anno a Torino, con la nutrita compagine di Anthony Braxton al Museo Egizio impegnata in un eterno soundscape partecipativo multidimensionale. Non so quanti amino ammetterlo, ma col jazz c’entra quanto Ezio Bosso, Massimo Rainieri o David Bowie (headliner mancato a Umbria Jazz per cause di forza maggiore, ci scommetto – li hai beffati, buon per te!), e personalmente penso sia una delle cose più insulse e insopportabilmente noiose del pianeta. Però, questo e altro, per il JAZZ. Quella parola magica che piace tanto appiccicare di qua e di là, compositori easy listening come avanguardie decotte, perché evidentemente nobilita o contraddistingue, ma mai che sia jazz, ché quella è reazionaria e vecchia musica da negri.
(Negrodeath)

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