FREE FALL JAZZ

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La scena musicale inglese è sempre stata tradizionalmente tra le più importanti del mondo e anche nell’ambito jazzistico ha giocato, almeno in Europa, un ruolo di prim’ordine e continua a giocarlo oggi, come dimostra ad esempio il talento straordinario di Gwilym Simcock, oggi trentacinquenne pianista e compositore ben più che emergente, e che ho avuto modo di ascoltare già in almeno quattro occasioni, di cui l’ultima proprio in questo progetto con il Delta Saxophone Quartet, presentato nella stagione scorsa di Aperitivo in Concerto, al Teatro Manzoni di Milano. Ora è in uscita la registrazione in studio di quell’originale lavoro costruito sulla musica prog-rock dei King Crimson.

Il Delta Saxophone Quartet capitanato dal baritonista Chris Caldwell, Graeme Blevins soprano, Pete Whyman contralto e Tim Holmes, tenore, è realtà musicale consolidata da ben tre decenni, soprattutto in ambito accademico (ha lavorato a stretto contatto con molti compositori: Gavin Bryars, Steve Martland, Joe Duddell, Hugh Hopper, Mike Westbrook, Mark-Anthony Turnage e Michael Finnissy solo per citarne alcuni), ed è composto da preparatissimi strumentisti, mentre il pianista gallese è decisamente più orientato verso l’improvvisazione e il jazz, ma in possesso di analoghi seri studi accademici e ampia visione musicale. L’incontro è scaturito in una sede del tutto particolare e per nulla musicale, essendo tutti appassionati, da buoni inglesi, di calcio e tifosi dello Stoke City, ossia durante il match di coppa Europa tra Stoke e Dinamo Kiev. Sorta l’amicizia tra i musicisti ne è poi emersa l’idea di un progetto comune, trovando terreno fertile nella musica dei King Crimson. Il quartetto di sax aveva in realtà già esplorato la musica progressive dei Soft Machine e Simcock da parte sua aveva avuto occasione di lavorare con Bill Bruford all’inizio della sua carriera, rendendo così abbastanza naturale lo sviluppo di quell’idea.

Il progetto compositivo e di rielaborazione delle musiche in una veste decisamente jazzistica è in realtà di Simcock, che di fatto ne risulta essere il leader, ma il contributo dei quattro eclettici sassofonisti, che nella circostanza si rivelano anche ottimi improvvisatori, è fondamentale per la buona riuscita delle musiche. Simcock porta l’esperienza maturata attraverso diversi mondi musicali, utilizzando sia le tecniche di composizione classica sia di improvvisazione jazzistica. La sua idea di musica ha stimolato nuove sfide per l’ensemble di sassofonisti, sia in termini di ritmo che di feeling musicale. La qualità ritmica nel suo pianismo, insieme a una energia irrequieta e un senso di appassionata gioia nel suonare ha fornito ai compagni nuove prospettive. Il risultato finale si può dire pienamente riuscito. La scrittura puntuale e sofisticata e la decisa conduzione di Simcock sanno esaltare il materiale di partenza prescelto dei King Crimson, uscito decisamente rafforzato, mostrando anche il suo talento da compositore, oltre a quello già a me ben noto di grande pianista e improvvisatore.

L’apertura del programma del disco è tuttavia costituita da una composizione originale del pianista gallese, con il suo A Kind of Red, un’elegante mistura di lirica melodia ben scritta per il quartetto, supportata da un sostenuto accompagnamento pianistico fatto di ritmo e rigogliose armonie, con fluidi assoli del sopranista Graeme Blevins. L’assenza di basso e batteria infatti non si avverte, grazie alla spiccata enfasi ritmica, tutta jazzistica, mostrata da Simcock, peraltro presente in tutta l’incisione. Il secondo brano del disco è invece costituito da un mix di due temi dei King Crimson: Vroom Vroom Coda: Marine 475 e presenta uno sviluppo coerente al mood prog-rock del gruppo, molto cadenzato ritmicamente  ma che rivela una scrittura di tipo orchestrale che ricorda vagamente la prima big-band di Mike Gibbs. Incisive e calibrate le brevi improvvisazioni pianistiche, assai jazzistiche, sul finale del brano. Night Watch è un brano quasi completamente scritto dal carattere molto accademico, ma contiene un bell’assolo di buona pronuncia jazzistica del tenorsassofonista Tim Holmes. Alle orecchie da incallito jazzofilo quale sono, Dinosaur è il brano che risulta più eccitante e ricco di spunti, con Simcock che evidenzia tutto il suo talento da consumato jazzista nel prolungato intervento “bluesy” a la Jarrett e un supporto ritmico al quartetto di prim’ordine. Eccellente anche il conclusivo dinamico The Great Deceiver, che peraltro ben ricordavo dal concerto milanese e che conclude in bellezza una davvero ottima incisione.

Gwilym Simcock conferma, con questo lavoro, di essere uno dei musicisti delle ultime generazioni, e non solo europei, più da tenere d’occhio.
(Riccardo Facchi)

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