FREE FALL JAZZ

Se due genitori chiamano i loro gemelli Rahsaan e Roland, vuol dire che hanno una grandissima passione per il jazz e in particolare per Rahsaan Roland Kirk. Al punto che nessuno forse si sorprenderebbe se, crescendo, i gemellini diventassero per reazione spacciatori, scienziati della comunicazione o, peggio ancora, turnisti prog metal. Fortunatamente non è andata così, e mentre Roland è diventato un valente trombonista, il qui presente Rahsaan ha padroneggiato i sassofoni (soprano, contralto, tenore) e il flauto, e pubblica il suo secondo album per la sua casa discografica – un bel progetto, nelle intenzioni destinato a portare alla luce la negletta scena jazz di Nashville.

‘Everyday Magic’ è un esempio di jazz contemporaneo fortemente rootsy, con saldissime ed evidenti radici nel soul, nel gospel, nel funk e ovviamente nel blues. Rahsaan cita come sue principali ispirazioni John Coltrane e Stanley Turrentine, il che è perfettamente coerente col sound proposto: se il primo è ormai una fonte di riferimento essenziale per la tecnica e la pronuncia sassofonistica moderna, il secondo è un modello espressivo, oggi poco considerato, che qui dentro trova immediata eco nello suono vibrante, soulful, del tenore, e nelle composizioni, che più di una volta si riallacciano all’era del soul jazz. ‘Jubilee’ apre l’album all’insegna dell’energia con un bell’hard bop trascinante e veloce; Barber sembra un Coltrane mediato dalla lezione di David Fathead Newman, con tutti gli squeak’n'squonk di un texas tenor. ‘Floodsong’, preceduta dalla breve ‘Lost And Found’, è una dolorosa meditazione sull’uragano Katrina su solenni ondate di suono e poliritmi afro-jonesiani – facile da un lato ripensare al quartetto storico di Coltrane, interessante dall’altro notare la variazione timbrica data dall’ottima chitarra Adam Agati che aggiunge colori originali. Ma il registro cambia subito con ‘Manhattan Grace’, che unisce r&b e gospel in un magnifico inno, e con ‘Why So Blue?’ e ‘Memphis Soul’, dove i due gemelli Barber si affrontano in un’emozionante chase su un asciutto ed incalzante ritmo funk (nella prima) e danno vita ad una bella ambientazione sonora soul anni ’70 con tanto di percussioni (nella seconda). Tre pezzi, questi, che portano avanti con intelligenza e passione il discorso di Turrentine (e perché no, pure di Cannonball Adderly e Gene Ammons).

Energia, coinvolgimento e roots sono la base dell’estetica di Rahsaan Carter, in questo vicino a sua maestà James Carter. E come quest’ultimo, sembra una sorta di Rahsaan Roland Kirk in differita, un maestro dei vari strumenti utilizzati però uno alla volta. Il tenore è per i pezzi più aggressivi e blues, il contralto per immergersi al meglio delle atmosfere soul e gospel, il soprano per i momenti più raccolti come il walzer ‘Innocence’, il flauto per il clima pacifico e sereno della lunga ‘Adagio’ (vicina a certe cose di Branford Marsalis). Avanti così, che questa è la roba che ci garba. O, almeno, a me di sicuro. (Negrodeath)

Comments are closed.