FREE FALL JAZZ

Fats Waller è un’icona. Pianista, compositore, cantante, intrattenitore: la sua figura può essere esaminata a più livelli, rendervi omaggio non è affatto una cosa scontata. Jason Moran fu incaricato dall’Harlem Stage Gatehouse di scrivere qualcosa per celebrare la musica di Fats, e così due anni fa è nato lo spettacolo multimediale ‘Fats Waller Dance Party’. Il nuovo album ‘All Rise’ è un tentativo di riassumere questa esperienza dal lato esclusivamente musicale, rispondendo innanzitutto alla domanda iniziale: chi e cosa era Fats? Jason e i suoi collaboratori sembrano puntare innanzitutto sulla sua statura di intrattenitore a tutto tondo, capace di distillare la sua arte complessa e originale in un formato comprensibile e ballabile da tutti. Jazz ballabile, un concetto che oggi solleva più di una perplessità, ma ai tempi di Fats assolutamente normale. Jason Moran osa molto. Accanto ai fidi Tarus Mateen (basso) e Nasheet Waits (batteria) troviamo la cantante neo soul Meshell Ndegeocello e una sezione di fiati deluxe (Leron Thomas alla tromba, Steve Lehman al sax e Josh Roseman al trombone), mentre il repertorio si concentra su brani scritti o resi celebri da Waller. La reinvenzione rispetta lo spirito originale, ma ovviamente lo trasla nel 2014 in un album di “black music” in senso ampio più che di jazz, comunque ben in vista negli assoli e nella pronuncia strumentale. Le versioni di ‘The Joint Is Jumping’ o ‘Ain’t Misbehaving’ potrebbero trovare spazio in radio o tv, con la bella voce scura e sabbiosa della Ndegeocello. ‘Lulu’s Back In Town’ viaggia su ritmi hip hop, ma sembra uscita dritta dal 1935, mentre in ‘Two Sleepy People’ Leron Thomas canta ricalcando lo stile di Fats su un accompagnamento che tende al neo soul – unica nota stonata, in questo caso, un brutto e artificioso synth.

Non tutto è perfetto. A volte il suono sembra fin troppo rifinito, pulito, al punto da trattenere la musica dall’esplosione. Un po’ di perfezionismo sonoro in meno non avrebbe guastato. Peccato, ma alla fine dei conti ‘All Rise’ è un esperimento riuscito. Anche importante, e ben lontano dalle banalità di Robert Glasper o Esperanza Spalding cui molti potrebbero, a torto, paragonarlo.
(Negrodeath)

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