FREE FALL JAZZ

Phil Cohran, classe 1927, ha legato il suo nome soprattutto alla Arkestra di Sun Ra, alla quale ha prestato i propri (ottimi) servigi su una manciata di dischi a cavallo tra anni ’50 e ’60, dedicandosi non solo alla tromba e alla cornetta, ma anche a strumenti meno usuali come il violin uke (in pratica uno zither suonato con l’arco). Si è ritagliato poi uno spazio “minore” ma importante nella scena free di Chicago, dove ha dato vita al collettivo Artistic Heritage Ensamble (in cui bazzicava, tra gli altri, il compianto  Pete Cosey), periodo che ricordiamo per l’ottimo ‘On The Beach’ (che magari vi proporremo in uno dei nostri prossimi ripescaggi), il cui jazz più o meno avanguardistico trae linfa vitale da sonorità di origine africana, tanto che il leader prende addirittura ad usare una sorta di kalimba amplificata (ribattezzata frankiphone).

Uscito di scena più o meno in sordina come tanti altri di quel periodo, Cohran si è mantenuto per anni fuori dai radar, dedicandosi se non sbaglio a roba religiosa (potrei cercare su Google per darvi conferma, ma sono pigro e non è una notizia fondamentale ai fini di queste righe, quindi anche no). A riportarlo alla musica ci pensa la prole: Cohran ha la bellezza di 23 (!) figli, otto dei quali formano, assieme a un batterista non imparentato, l’Hypnotic Brass Ensemble, banda per soli ottoni autrice di due album (più una nutrita discografia indipendente) particolarissimi che, col solo uso dei fiati, spaziano tra jazz, funk, finanche hip hop. È questa la base da cui si parte, ma il contributo del “grande vecchio” si fa sentire, sia per gli umori esotici che bagnano talvolta i pezzi (e non sono solo africani come ci si aspetterebbe: ‘Cuernavaca’ ammicca persino alla musica mariachi) , sia per i suoi ormai caratteristici strumenti “truccati”, che magari non spiccano troppo, ma si rivelano decisivi nel tessere l’atmosfera personalissima e straniante di pezzi come ‘Aspara’ e ‘Spin’, tra i più funk del lotto, o della minacciosa ‘Zincali’ .

Unico limite è forse una certa ripetitività: i pattern ritmici (guidati dalla batteria e da uno spettacolare sousafono che  fa le veci del basso) hanno un groove invidiabile, ma all’interno dei singoli pezzi vengono reiterati a oltranza, con i singoli strumenti che li cavalcano come una passerella per assoli, duetti e simili. È anche per questo che il gruppo si definisce “ipnotico” e l’effetto spesso riesce, ma quando la prendono troppo per le lunghe ci si rende conto di come la linea di che separa “hypnotic” da “boring” non sia poi così spessa. Qualche giro di giostra però lo valgono eccome. (Nico Toscani)

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