FREE FALL JAZZ

Copertina coloratissima, titoli bizzarri (tipo ‘When Will The Bruce Lee’, ‘Secret Life Of The Mullet People’, ‘Kwisatz, Kwisatz, Kwisatz’) e formazione inconsueta (sax contralto, sousaphono o trombone, basso elettrico o contrabbasso, glockenspiel o vibrafono, chitarra elettrica, batteria) fanno pensare a due alternative: o questi qui pigiano troppo sul ‘famolo strano’ finendo per fare schifo da perfetti artsy wannabe di provincia, oppure hanno qualcosa da dire e centrano il difficile bersaglio. Per fortuna Piero Bittolo Bon e i suoi Jümp The Shark rientrano nel secondo caso e tirano fuori un disco che sembra uscire dritto dal catalogo della PI Records.

In ‘Ohmlaut’ è maniacale l’attenzione per il suono complessivo del gruppo e l’attento sviluppo dei brani, caratterizzati da atmosfere strampalate e melodie assurde (Carl Stalling?). Vengono in mente l’ultimo Henry Threadgill, per i particolari accostamenti di timbri metallici e l’uso di trombone e sousaphone per ampliare il raggio d’azione del registro grave, e Steve Coleman, per la potente pulsazione secca e funk. Sia Coleman che Threadgill sono poi alfieri di un modo del tutto particolare di strutturare la musica, ovvero per strati sfalsati e sovrapposti dove ogni strumento ha il suo campo d’azione ben delineato e in perfetta relazione con gli altri; e dove bassi e batteria costituiscono un ulteriore ingranaggio responsabile dell’unità finale dell’ensemble – principi organizzativi che Piero Bittolo Bon sembra aver studiato e messo a frutto con successo. Altri riferimenti? Eric Dolphy, si capisce, e Frank Zappa, in particolare quello degli anni ’70 (‘Weasels Ripped My Flesh’, ‘Waka/Jawaka’, ‘One Size Fits All’, ‘Burnt Weeny Sandwich’), per la narrazione fatta di bruschi contrasti e improvvisi cambi di registro all’insegna dello sberleffo intelligente, lontano dallo zappismo un tanto al chilo che ha distrutto le buone intenzioni di troppi musicisti meno in gamba. Per chi, come me, è pure appassionato di metal e hardcore punk è poi un gran piacere ascoltare sequenze ritmiche lineari e distruttive, degne di un album dei Judas Priest o dei Dead Kennedys, come nella parte centrale di ‘Samantha Fox Aka Kawaii Oppai! Banzai!?’ (magistralmente costruita a partire da un clima indefinito e angoscioso dominato da vibrafono, bassi e sax), o aggressivi assolo di chitarra elettrica (vedi la contorta ‘When Will The Bruce Lee’).

Siamo alla fine. Bene, ‘Ohmlaut’ è un ottimo lavoro di jazz contemporaneo e trasversale radicato in quegli anni ’70 e ’80 che ancora hanno bisogno di storicizzazione e inquadramento. Non che sia così determinante: chi apprezza certa musica e ne porta avanti bene il discorso non può che avere la nostra approvazione.
(Negrodeath)

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