FREE FALL JAZZ

918lUzB+ODL._SY355_Che Keith Jarrett abbia da tempo imboccato il viale del tramonto artistico pare non essere più nemmeno un’opinione. Lo dimostra il fatto che l’ECM, la casa discografica che Jarrett stesso ha contribuito a lanciare ormai quasi mezzo secolo fa, rovista tra i molti nastri registrati in suo possesso relativi a concerti dei decenni precedenti, ricchi di grandi prestazioni sue, o delle formazioni con le quali si è esibito nel corso della sua carriera. Questo lavoro appena pubblicato dello Standard Trio, la formazione che con il quartetto americano rappresenta forse il contributo più importante dato da Jarrett al jazz, risale addirittura a vent’anni fa, ossia al 1998, e ha una sua valenza storica al di là dell’eccellente musica contenuta, in quanto rappresenta una delle sue prime esibizioni pubbliche dopo la grave malattia psico-fisica che lo aveva colpito alla fine del 1996, costringendolo ad un momentaneo ritiro dalle scene.

Nonostante una buona fetta della nostra (pseudo)musicologia jazz abbia sempre minimizzato in modo settario e pregiudiziale la musica del trio, parlando improvvidamente di “conservatorismo di lusso”, quel progetto (per quanto eccessivamente longevo) in realtà ha saputo rileggere gli standard e il cosiddetto Great American Songbook come pochi altri, mettendo sempre una firma originale a quel genere di battutissimo materiale, considerato per lo più musicalmente esausto. Il fatto è che Jarrett, a differenza di tanti altri interpreti di quel repertorio, è in possesso di una propria estetica autentica, quasi unica, ed è in grado di metterla in campo con una leadership e una sicurezza nel proprio gusto innato, assai rari da riscontrare. Anche questa registrazione pare documentarlo nitidamente, e poco conta se ci capita di riascoltare l’ennesima sua versione di Autumn Leaves, Old Folks o di When i Fall in Love, quest’ultimo sorta di sigla (nel suo caso di chiusura concertistica) simile al 52nd Street Theme dei boppers, o al derivato The Theme di Miles Davis, piuttosto che  l’introduttivo Take The “A” Train dell’orchestra ellingtoniana. A livello di approfondimento del tema potrebbe venire in mente l’analogia con ciò che Bill Evans fece nei suoi ultimi anni con Nardis.

La musica comunque risulta ancora fresca (a differenza delle esibizioni del trio degli ultimi anni, dove la routine e la stanchezza anche fisica dei componenti si faceva sentire in modo ormai evidente) e forse non è un caso che in quel periodo di ripresa concertistica (se si pensa anche al set di brani presenti in  Whisper Not- ECM, registrato l’anno successivo) Jarrett avesse preferenza per un repertorio tipicamente be-bop, con la presenza cioè del parkeriano Scrapple From The Apple o di Bouncing with Bud, piuttosto che di One for Majid, o Moment’s Notice, quasi a voler testare su se stesso di aver ripreso il pieno possesso delle proprie doti tecniche, cimentandosi su materiale notoriamente difficile su cui improvvisare con creatività. Le tracce che si fanno preferire sono l’introduttiva lunga versione di The Masquerade Is Over e Late Lament, ma la perla del disco è nettamente l’interpretazione che profuma sorprendentemente di blues di una canzoncina di Natale come Santa Claus Is Coming To Town, che conferma una volta di più la capacità del pianista di saper letteralmente riscrivere il Song e molti degli standard più battuti. Solo questa traccia potrebbe valere l’acquisto del disco e garantire momenti di gratificazione uditiva oggi poi non così frequenti da riscontrare. Vi pare poco?
(Riccardo Facchi)

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