FREE FALL JAZZ

Salve a tutti e benvenuti nella rubrica di interviste più asimmetrica del web. Oggi abbiamo l’onore di ospitare Francesco Massaro, sassofonista, clarinettista ed attivatore patafisico di origini pugliesi. Possiamo affermare, senza tema di smentita, che la sua recente menzione (2016) nel Top Jazz tra i Giovani Talenti Emergenti dell’Amore Universale è irrilevante ai fini della nostra più grande stima nei confronti di questo musicista, che è anche fine compositore nonché membro fondatore di una interessantissima giovane etichetta. Da poco ha sfornato un bel disco “Meccanismi di volo”, ma andiamo al sodo.

CARLO: Ciao Francesco. Iniziamo descrivendo il tuo progetto musicale Bestiario, nonché il tuo ultimo disco. A te la parola.

FRANCESCO: Ben trovati e grazie per l’attenzione che ci state dedicando. Mi piace pensare al Bestiario, più che come ad un progetto o ad un gruppo, come ad un organismo vivente che produce suono e senso utilizzando una serie di strategie mutuate da vari ambiti creativi, non necessariamente musicali. Il quartetto, formato da Mariasole De Pascali ai flauti, Gianni Lenoci al pianoforte, Michele Ciccimarra alle percussioni ed il sottoscritto ai sax e clarinetti, data le personalità musicali e creative dei componenti, si muove in maniera liquida, prendendo strade inaspettate e sempre nuove, pur mantenendo intatto il senso delle composizioni. Penso che sia il sogno di ogni compositore avere un gruppo che non solo esegue ma infonde vitalità alla sua musica, mantenendo sempre attivo il processo compositivo. Questo rende la musica sempre piena di sorprese, per noi in primis, e di conseguenza fresca e interessante per il l’ascoltatore. Una sorta di benedizione direi. È un processo che utilizziamo anche in studio ovviamente con dinamiche differenti.

CARLO: Argomento mai banale: sei strumentista e compositore. Quali sono i tuoi riferimenti per queste attività connesse ma indubbiamente diverse. A me pare che tu componga improvvisando, ma al contempo credo tu scriva musica anche “a tavolino”. Sto sbagliando tutto? Smentiscimi.

FRANCESCO: Invece hai ragione. Per me (e non solo) i processi sono indistinguibili, senza addentrarsi in discorsi già abbondantemente sviscerati da Derek Bailey – e decine di altri, tra artisti e studiosi, non solo in musica – le mie composizioni consistono in una serie di algoritmi, con appunti verbali, porzioni di pentagramma, disegni. Non tutti sono sempre chiamati a seguire la parte, molto spesso una o più parti sono completamente improvvisate, le altre comunque hanno sempre un ampio margine di discrezionalità su durate, altezze o altri parametri. In fondo è un procedimento antico quanto la musica stessa, ma rivendico fortemente l’originalità dei risultati. In Meccanismi di volo, secondo degli album che abbiamo registrato, si sono radicalizzati questi processi rispetto a Bestiario Marino (del 2015), ho pensato ad una musica che scorresse su piani percettivi ed emotivi differenti, a velocità e con densità differenti. Cerco una musica nella quale ci sia una reale simbiosi tra scrittura e improvvisazione, acustico ed elettronico (in un paio di tracce con noi ci sono Adolfo LA Volpe e Valerio Daniele – che è anche il fonico e deus ex machina dei nostri dischi – alle chitarre ed elettronica ), struttura ed alea. Molte delle questioni restano per me aperte, ma il mondo è pieno di bestie reali e fantastiche, e, come voleva Borges, ogni enciclopedia è perfetta nella sua incompletezza, ho materiale sul quale lavorare per diversi anni…almeno spero.

CARLO: Siamo assai curiosi di conoscere più da vicino il collettivo Desuonatori. Chi siete? dove andate? cosa portate? Sì, ma quanti siete? UN FIORINO!

FRANCESCO: Il collettivo si è costituito a Frittole nel 1492, all’ inizio con noi c’era anche Leonardo da Vinci, ma non capiva niente…Allora, sforzandosi d’esser serio, cosa che mi riesce poco e male, Desuonatori non è un collettivo, ma, come recita il nostro sito www.desuonatori.it (che oltre ai nostri dischi presenta altri contenuti molto interessanti, visitatelo) un coordinamento di autoproduzioni per la socializzazione di musica inedita in nuovi contesti di fruizione, siamo semplicemente un gruppo di persone che ha deciso di riprendere in mano la propria musica e tutto il processo di produzione e fruizione. Questo ci fa lavorare molto lentamente ma i risultati sono soddisfacenti ed autentici. Abbiamo pubblicato 12 dischi, organizzato decine di house concert e partecipato esternamente a diverse iniziative artistiche, tant’è che ultimamente stiamo allargando il nostro campo d’azione, a breve pubblicheremo anche il catalogo delle opere del pittore Egidio Marullo.

CARLO: Se tu fossi il despota supremo dell’Italia tutta intera, cosa faresti per sollevare le sorti del jazz e contorni? Cosa manca? Facci sognare.

FRANCESCO: Come se fossi? Ordino l’immediata soppressione della canzone termolese in jazz! Fuori dalla boutade direi che quello che manca al Jazz e, più in generale, alle musiche d’arte (ammesso che questa definizioneabbia un senso) in Italia, è un tessuto connettivo fatto di persone. Il nostro Paese, per questioni geografiche, e ahimè, storiche è fortemente provinciale. Gli scambi tra musicisti, organizzatori e fruitori è al minimo e, quasi sempre, avviene solo ed unicamente perché i musicisti si occupano, tra fatiche immani, perché devono sottrarre tempo, denaro, energie e molto altro ancora al proprio lavoro (che dovrebbe essere quello di studiare lo strumento è creare musica), spesso non avendo le minime competenze in fatto di booking. Ritengo inoltre che questa mancanza di relazioni non sia semplicemente un fatto organizzativo ma anche e soprattutto politico. Manca il senso di comunità che resta alla base del successo di processi culturali e – perché no? – economici, naturalmente. Ma non solo. L’arte è un grimaldello, ed una comunità di artisti che lavora e si muove in direzione del bello agisce positivamente sulla società. Non è un discorso utopico, dovremmo sentirci tutti combattenti, unirci alla Beauty Guerrilla. Amici in tutta Italia si muovono da anni non senza difficoltà in questa direzione: Marco Colonna (che è colui che più di tutti lotta in questa direzione) a Roma, Massimo de Mattia in Friuli, gli amici dell’ Ex Asilo Filangieri a Napoli, Walter Forestiere, Vittorino Curci e Gianni Console, Gianni Lenoci (con la sua ormai trentennale attività presso il Conservatorio di Monopoli), Dario Nitti e gli amici di Gramignarci e del Resilienza in Puglia, per limitarmi alle persone con cui ho rapporti diretti. Occorre seguirne l’esempio e creare nuovi avamposti.

Hasta la saperlocria siempre!

CARLO: Amici pugliesi mi dicono che dalle mie parti è impossibile preparare come si deve le orecchiette con le cime di rapa, poiché per il diverso clima le rape fioriscono e cambia tutto. Puoi confermare?

FRANCESCO: ti rispondo con una citazione di Frank Zappa: parlare di orecchiette con le cime di rapa fuori dal triangolo Taranto, Bari, Matera è come danzare di architettura.

(Intervista raccolta da Carlo Cimino)

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