FREE FALL JAZZ

L’amatissimo jazzista Miles Davis è considerato uno dei musicisti più influenti del ventesimo secolo. Assieme suoi vari gruppi, è stato alla guida di molti dei più importanti sviluppi nella musica jazz. Nel 2006 Davis è entrato nella Rock’n'Roll Hall Of Fame, riconosciuto come “una delle figure chiave della storia del jazz”. Dopo la scomparsa, avvenuta il 28 settembre 1991, la sua famiglia ha fatto in modo di tenerne in vita il nome e l’opera musicale. I suoi tre eredi sono suo figlio Erin, sua figlia Cheryl e il nipote Vince Wilburn jr. Si sforzano ogni giorno di mantenere il nome di Miles Davis nell’occhio del pubblico e promuoverne il brand. “Parliamo a tutti, perché siamo coinvolti nella crescita, nella promozione e nell’esposizione pubblica”, spiega Erin Davis. “Ci ho messo venti anni a capire davvero l’importanza di cosa stiamo facendo e come si ripercuoterà sul futuro.”

Mentre crescevi, ti era chiaro che avresti fatto parte del music business come tuo padre?
Come tanti ragazzi della mia età, sono un figlio di MTV e sapevo fin da subito che avrei voluto diventare un musicista, così lui mi chiese che strumento avrei voluto suonare. Al tempo non prendevo nessuna lezione. Gli dissi che volevo la chitarra. Lui rispose che mi avrebbe portato da questo insegnante molto rinomato, consigliatogli da John Scofield. Mi portò poi a New York da Manny, che purtroppo oggi non c’è più ma era un gran bel negozio di strumenti, per prendere una chitarra, e mi immaginavo con una chitarra super figa stile Def Leppard o qualcosa del genere, e invece mi ritrovai fra le mani un’acustica (ride, nda). A quattordici anni mi invitò a seguirlo in tour durante le vacanze estive, assieme a mio cugino Vince. Giocavo con la batteria in casa di mio padre, mio cugino suonava la batteria con la band in quel periodo e il primo show che vidi fu nella Bay Area, al Greek Theater dell’Università di Berkley. Guardavo mio cugino alla batteria e pensavo “ehi, voglio fare questo da grande!” Per un po’ l’ho fatto, sono stato un musicista di professione, ho pure suonato con mio padre. Ma sai, il music business oggi è cambiato così tanto che non è più divertente come una volta, per i novellini. Mi piace quando la gente riesce ad avere almeno un po’ di successo e ha il talento che serve, oggi però vedo un sacco di cose che piacciono solo per moda, senza alcun reale talento alle spalle. Si basa tutto sul momento, il che mi va pure bene, piace anche a me, ma non basta. Lo stavo spiegano l’altro giorno a mia figlia. Stavamo guardando i cartoni animati e le spiegavo quanto avessero modificato le voci dei cantanti, e poi abbiamo guardato Il Mago di Oz e le ho raccontato come allora non facessero niente del genere. Gente come Michael Jackson, Diana Ross o Judy Garland aveva un talento vero e naturale. Nessuno canta più come loro, è troppo difficile (ride, nda). Ho cercato di spiegarle che non sempre c’è del talento vero nelle cose di Disney Channel. E’ più un talento medio che funziona. Il senso del mio discorso è che da ragazzo ho sempre pensato che sarei finito nella musica, in qualche modo. Non sarei dovuto andare al college, non avrei dovuto preoccuparmene. Ma ora vorrei averlo fatto, vorrei aver frequentato qualche scuola di musica per studiare la teoria, perché più tardi ho dovuto farlo ed è stato più difficile, e lo sto ancora facendo.

Tuo padre ti raccontava mai storie e aneddoti, mentre crescevi? Secondo te cosa ha segnato particolarmente lui e la sua carriera?
Ci raccontava spesso storie divertenti su tutte quelle persone con cui ha lavorato. Gente come Philly Joe Jones, Dizzy Gillespie, Max Roach, che poi ho avuto occasione di conoscere quando, alle superiori, suonavamo negli stessi festival. Tante grandi storie e citazioni. Per ogni aneddoto che loro mi dicevano di lui, mio padre me ne raccontava altrettanti su di loro. Penso che sia stato davvero colpito da tutte queste persone. Non credo però che sia stato colpito da quello che gli dicevano. Era più il fatto che, per quanto volesse bene ad ognuno di loro, doveva trovare un posto tutto suo nel momento in cui tutta quella musica veniva creata e sviluppata, e penso che in questo modo riuscì inconsapevolmente a capire cosa volesse fare.

Di recente ho visto un video online dove tu e tuo cugino Vince state guardando Don Cheadle rievocare tuo padre nel suo film ‘Miles Ahead’. Che impressione ti ha fatto?
Molto bravo. E’ stata una cosa strana. Avrei dovuto incontrare Don assieme a mio cugino. Mia sorella, mio cugino e io siamo tutti produttori esecutivi del film, così siamo partiti per il luogo delle riprese. E’ incredibile come riescano a creare un particolare ambiente all’interno di un posto nemmeno pensato per filmare. Stavano girando in una chiesa sconsacrata, e l’hanno trasformata in un set multiplo. C’erano diverse location e io andai direttamente nella sala di controllo. Non mi ero ancora messo le cuffie ma potevo sentire Don che faceva la voce di mio padre, la sua voce usciva da tutte le altre cuffie e mi faceva uscire di testa. Davvero bizzarro. Poi ho guardato lo schermo – impressionante. Don è rimasto un po’ nel personaggio per un po’ mentre lavorava. E’ un bravo attore e pure un grande regista, spero che la gente glielo riconosca. Il film uscirà il prossimo anno, per ora verrà proiettato in qualche festival. Credo che si prendano il tempo necessario per trovare la miglior distribuzione.

In che modo sarai coinvolto nel Newport Jazz Festival, più avanti questo stesso mese (l’intervista si è svolta a luglio, nda)?
Beh, celebrano l’uscita di “Miles Davis At Newport: The Bootleg Series Vol. 4”. Esce il 17, sessant’anni esatti dalla sua prima esibizione a Newport. Fanno una Miles Celebration. Volevo essere presente, ma purtroppo non mi sarà possibile. Il nostro buon amico Ashley Kahn, che ha fatto un sacco di dibattiti pubblici assieme a noi e ha scritto pure un libro su ‘Kind Of Blue’, ci sarà e penso che farà qualche altro dibattito. E’ uno schifo che non ce la possa fare. Mi pare di esserci stato solo una volta ed è stato eccezionale, spero che tutti quanti passino una bella giornata.

Com’è co-dirigere l’eredità di tuo padre assieme ai tuoi parenti?
Grandioso. Siamo tutti molto vicini e molto attenti a proteggere la sua immagine. Cerchiamo di fare il meglio, ciò che lui stesso avrebbe voluto. La gestione di un’eredità, soprattutto nel mondo della musica, è una particolare nicchia nel mondo degli affari in cui è inevitabile prima o poi commettere qualche errore, anche se non li chiamo errori, sono più tentativi di provare nuove cose. Ma la cosa più difficile è non avere il diretto interessato lì a dirti cosa vorrebbe. Ecco perché, assieme alla Sony, abbiamo lavorato all’idea delle Bootleg Series. Vogliamo dare alla gente musica mai sentita, che è difficile quando il musicista non c’è più. Riceviamo critiche quando mettiamo in giro cose in parte già sentite, anche se aggiungiamo del contenuto nuovo. Le Bootleg Series sono un ottimo modo per dare alla gente musica inedita. Si tratta di materiale dal vivo, e difatti il responso è stato ottimo. Questi concerti piacciono molto, perché ogni serata è diversa dalle altre. Non è come un concerto pop, è davvero forte e credo che abbiamo trovato la via giusta con questo tipo di uscite. Il team che le cura è davvero ottimo. Siamo orgogliosi di pubblicarle e far sì che il pubblico possa goderne.

Oltre ad occuparti dell’eredità, stai pure scrivendo musica da film, vero?
Sì, ho scritto per un paio di colonne sonore. Al momento sto valutando i vari canali in cui la mia musica, in qualche modo, potrebbe essere utilizzata. Internet, YouTube e simili sono grandi strumenti per lavorare. Le persone possono trovare tutto gratis, ma se gli crei qualcosa su misura per le loro esigenze lo apprezzano. Di solito non mi faccio pagare troppo. E’ una cosa che mi piace proprio fare. Mi sto pure interessando al mondo dei videogiochi. Ci girano molti soldi. Quel tipo di business funziona ancora alla grande, mentre la vecchia industria discografica del cd o del vinile non va più così bene, perché ci sono molti meno posti per venderli. Sono stato alla Electronic Entertainment Expo qui a Los Angeles e ho visto che per loro non esiste problema, perché non puoi comprare un gioco per Playstation e giocarlo. Devi avere già una console e comprare il gioco, ed è un mercato florido, che funziona. E cercano continuamente nuova musica, per questo mi ci sto cimentando.

Parliamo della tua vecchia band, i Bloodline. Com’è stata quell’esperienza, e come si è formata?
Oh, wow! Dove hai trovato quella musica, perché al momento è fuori catalogo e non si può comprare (ride, nda)! E’ stato divertente. Erano i miei anni al college. Il gruppo si è formato perché il manager di Joe Bonamassa (che è sempre in giro con lui, da allora) voleva metterlo assieme a gente molto giovane, credo che lui avesse tredici o quattordici, per un progetto interessante. Hanno poi visto Berry Oakley jr. e Waylan Krieger suonare assieme al padre di Waylan, Robbie Krieger dei Doors. Quello di Berry era il bassista degli Allman Brothers, morto prima della sua nascita, così portava con sé l’eredità di suo padre e imparò a suonare il basso, mentre era già un ottimo cantante. In ogni caso stavano suonando in un tributo ai Doors nella band di Robbie, e Joe e il suo manager erano lì. Il manager di Joe trovava che il ragazzo fosse in gamba e quindi si fece avanti. Poi fece lo stesso col figlio di Sammy Hagar, Aaron Hagar, che era mio amico e mi portò con sé. Abbiamo fatto un po’ di prove e siamo piaciuti, la band fu messa insieme, poi Aaron la mollò dopo circa otto mesi e Berry divente il cantante di ruolo. Eravamo sotto contratto EMI, pubblicammo un disco e facemmo un sacco di concerti! Fu un gran divertimento! Ho potuto vedere coi miei occhi il funzionamento del music business. Non solo per l’aspetto dei contratti discografici e degli anticipi. Al tempo era molto importante la promozione radio e il grunge andava fortissimo, per noi era difficile finire in onda. Alla fine me ne andai perché suonavano blues-rock, che non è il mio genere preferito. Preferivo l’hard rock e la roba più dura. Ho passato un bel periodo, comunque. Suono più blues adesso con la chitarra, ma ho imparato moltissimo da quell’esperienza. Avevamo lo stesso management di Frank Sinatra, Liza Minnelli e Don Rickels! Tutta quella gente famosissima e poi noi (ride, nda)! Fu davvero divertente!

Infine, cosa ti auguri che i fan di Miles Davis facciano proprio della sua musica, e come gestisci i profili social?
Cerchiamo di far capire che c’è più del mito e delle leggende. Di far conoscere che persona era. Era molto interessante, l’uomo più creativo che abbia mai visto. Se non era in tour a suonare, passava il tempo a dipingere o a tirare di boxe, nuotare, cavalcare. Amava pure cucinare e aveva una serie di ricette segrete! Lo ricordiamo spesso. Abbiamo ricordi differenti, ognuno di noi. Mia sorella (Cheryl Davis, nda) nacque quando ancora doveva diventare chi sarebbe poi stato, io quando ormai era un artista rinomato. Circostanze molto diverse.

(Intervista raccolta da Leah Adams per Music All Access e tradotta in italiano, su gentile concessione dell’autrice, da Negrodeath)

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