FREE FALL JAZZ


Settantacinque anni e non sentirli. Questa in estrema sintesi è la sensazione con la quale siamo usciti dal Teatro Parenti domenica mattina dopo aver assistito all’eccellente esibizione di un jazzista di prim’ordine, classe 1940,  che forse non gode attualmente di un adeguato riscontro all’altezza dei meriti, perlomeno in Italia. Tabackin, nato a Philadelphia e cresciuto musicalmente a Los Angeles, ha goduto di una certa fama negli anni ’70, come membro e co-leader di una delle migliori formazioni orchestrali del periodo, la Toshiko Akiyoshi/Lew Tabackin Big Band, con la quale ha vinto premi e referendum per diversi anni consecutivi. Trasferitosi a New York, negli anni ’80, si è proposto come leader di piccole formazioni, dapprima con la presenza del pianoforte, poi in quelle più recenti e impegnative “pianoless”. Il concerto domenicale milanese ha visto la prosecuzione di tal genere di  esperienza, in un set di brani in trio e quartetto, con l’aggiunta di una tromba, confermando largamente i suddetti meriti. Assente dalla scena milanese da parecchi anni, come sottolineato nella presentazione della direzione artistica, Tabackin non ha deluso le attese, dimostrandosi un maestro dell’improvvisazione e uno strumentista vigoroso e di assoluta eccellenza, nonostante l’età avanzata, sia al sax tenore che al flauto. Il suo sassofonismo ha riferimenti profondi, che risalgono sino al capostipite Coleman Hawkins, passando per quello da esso derivato in ambito be-bop, in un’area che va da Don Byas a Johnny Griffin, ma rimanendo ben distante dagli abusati standard del postcoltranismo odierno. Ciononostante il suo stile non è banalmente classificabile come tradizionale o demodé, in quanto il fraseggio evidenzia modernità, ancor più avvertibile al flauto, pur muovendosi nel canonico ambito espressivo del mainstream, che peraltro è il tema di tutta la manifestazione concertistica. A tal proposito, non si può non rilevare come certi schemi critici odierni che considerano impropriamente tale ambito sostanzialmente superato, se non addirittura lettera morta, tengano poco conto della sua intrinseca ampiezza, della miriade di diversi contributi di cui è costituito e di come esso sappia ancora rinnovarsi, senza la necessità di salti e rivoluzioni, che peraltro, a ben vedere, non gli sono mai stati propri. Il rischio di certe stereotipate e pregiudiziali valutazioni è in definitiva proprio quello di sottostimare il contributo di tanti validi musicisti che, come Tabackin, si avvierebbero in tal modo ad un immotivato oblio critico.

Il concerto ha preso l’abbrivio in trio, con la pertinente ritmica costituita dal bassista italiano Giovanni Bassi e il batterista americano di origini slovene Gasper Bertoncelj, in una versione di Afternoon in Paris di John Lewis che ha subito messo in chiaro la solidità del suono, la corposa timbrica e la ricchezza di fraseggio del sassofonista di Philadelphia. Nel brano successivo si passa ad apprezzare la maestria di Tabackin al flauto, su una composizione originale di netta ispirazione asiatica. Con l’ingresso del trombettista Alessandro Presti, giovane talentuoso di origini siciliane e di scuola newyorkese, la musica si è approssimata ad atmosfere più hard bop con anche la riproposizione non calligrafica di Delilah, composizione di Victor Young ma nota ai jazzofili nella versione anni ’50 di Clifford Brown nel quintetto con Max Roach. Presti non ha sfigurato, evidenziando un buon piglio e una bella sonorità, che si riferisce chiaramente ai grandi maestri dello strumento di quegli anni (oltre a Brown, alcuni dettagli timbrici della sonorità della sua tromba hanno ricordato Kenny Dorham e Lee Morgan). Certamente promettente e da tenere d’occhio, anche se forse deve ancora completare la maturazione sul piano della personalità e della scioltezza ritmica in improvvisazione, specie nei brani veloci e armonicamente più complessi. Il clou dell’esibizione si è focalizzato su ottime versioni di tre composizioni monkiane: Monk’s Dream, Ask Me Now e il complesso Trinkle Tinkle, tutte eseguite con bella personalità.

Finale con ben due apprezzati bis con un sentito In A Sentimental Mood al tenore e un sofisticato Yesterdays al flauto. Bella e appagante mattinata domenicale.
(Riccardo Facchi)

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