FREE FALL JAZZ

Marcus Roberts aveva pubblicato la suite ‘Deep In The Shed’ già nel 1990, nel disco omonimo per Sony. Riprenderla dal vivo per una serie di concerti al Lincoln Center nel 2008 gli ha dato l’idea di registrarla ancora in una nuova, e definitiva, versione ampliano l’organico originale da sei a nove musicisti. Del vecchio gruppo, oltre al leader, è presente il solo Wess Anderson al sax contralto e al sopranino; il nonetto viene poi completato da una serie di vecchie e nuove conoscenze come Jason Marsalis alla batteria, due allievi del pianista (il trombettista Alphonso Horne e il tenorista Ricardo Pascal) e veterani della JLCO come il superbo Marcus Printup alla tromba, Stephen Riley al tenore e Ron Westray al trombone. La nuova frontline con tre sassofoni, due trombe e un trombone fa pensare alle formazioni della New Orleans che fu, ed infatti ‘Deep In The Shed’ si abbevera a questa fonte in maniera evidente. Tutta la tradizione neworleansana storica, da King Oliver agli Hot Fives passando per Sidney Bechet e Jelly Roll Morton viene riesaminata e riproposta nel più ampio contesto del mainstream moderno, in un’operazione che ricorda l’eccelso operato di Wynton Marsalis fra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90. La suite si articola in sette brani contrastanti, dai sette ai quindici minuti di durata, con il blues sempre lì. E’ presente in maniera esplicita e strutturale come nella maestosa, energica apertura ‘The Governor’ e nella successiva ‘Mysterious Interlude’ dal passo medio e dal clima oscuro e ambiguo; oppure si manifesta nell’espressività del gruppo, nelle vocalizzazioni dei fiati, nei ricchissimi intarsi pianistici di Roberts, in grado di fondere con tecnica e proprietà di linguaggio i diversi stili (boogie, blues, gospel, stride, rag, hard bop e oltre) in modo coerente e florido, nei fitti intrecci polifonici in cui ogni strumento trova il giusto spazio, nei complessi poliritmi – sintesi perfetta di tutto questo è l’incredibile ‘E. Dankworth’, cavalcata impetuosa con frenetici cambi di ritmo ed emozionanti ‘chase’ e sovrapposizioni di tromba, trombone e sopranino.

In breve, un’opera bellissima e coinvolgente, un viaggio all’interno del cuore stesso del jazz fatto con profonda consapevolezza e perfezione idiomatica.
(Negrodeath)

Comments are closed.