FREE FALL JAZZ

Pubblicare un doppio album di inediti, nel 2012, è segno di estrema fiducia in sè stessi o di follia latente, per i maligni. Forse Christian Scott è sia folle che confidente: ma, alla luce di quanto realizzato finora, possiamo dargli torto? No, ovviamente. E così, due anni dopo il bellissimo ‘Yesterday You Said Tomorrow’, ecco lo stesso quintetto (o quasi: al piano oggi c’è Laurence Fields) che in due ore di musica espande e approfondisce l’originale visione del trombettista di New Orleans, che utilizza il jazz come trampolino di lancio per andare ad esplorare hip-hop, post-rock, r’n'b, afro-beat e spunti etnici (africani e spagnoli). L’album si basa essenzialmente sul contrastro fra l’immacolata tromba di Christian, dal suono pieno e dall’eloquio perentorio, e una band compatta e spigolosa che si produce in ritmi aggressivi e martellanti, più vicini all’hip-hop e al post-rock che al tipico ritmo swingato; il piano, non di rado preparato, utilizza spesso robusti ostinati per propellere l’improvvisazione; con l’aggiunta della chitarra acidula e tagliente di Matt Stevens, nasce un impasto timbrico e ritmico di grande originalità. Gran mattatore ovviamente è il leader, oratore appassionato di grandissimo talento drammatico, sia che usi il suono potentissimo della tromba aperta, sia la sua perculiare ‘whisper tecnique’, sia la sordina (in ‘Who They Wish I Was’ si prende apertamente gioco di cui lo vuole per forza novello Miles Davis). Molti i momenti memorabili: la fanfara maestosa di ‘Faitma Aisha Rokero 400′, il crescendo cinematografico di ‘Danziger’, le pulsazioni funk rock di ‘The Berlin Patient’ e ‘Jihad Joe’, i ritmi afro di ‘Alkebu Lan’ o la tenera esplorazione ambient-jazz ‘I Do’ ne sono solo alcuni fra i ventitre a disposizione. A tratti sembra quasi di sentire uno strano disco di musica trip-hop, ma il gruppo riesce ad ottenere questo effetto lavorando attentamente sul suono, sulla giusta sovrapposizione di ritmi e timbri e sul meticoloso studio dell’atmosfera. Un procedimento inverso, se vogliamo, rispetto a quel nu-jazz di una decina di anni fa che tentava la carta dell’elettronica, perché questa band ne assorbe certi input e li mette in pratica con la sola strumentazione organica.

Christian Scott conferma il suo talento di leader visionario e l’originalità di una musica estremamente dinamica dal forte impatto narrativo – caratteristica ereditata da illustri concittadini come Terence Blanchard e Wynton Marsalis, cantori del jazz come epica. Il futuro? Se non altro, una delle più convincenti vie da battere.
(Negrodeath)

Comments are closed.