FREE FALL JAZZ

In attività da ben quindici anni, Jimmy Greene è un sassofonista ancora sottovalutato nell’affollatissimo panorama contemporaneo. Allievo di Jackie McLean, che lo accolse sotto la sua ala protettrice all’età di diciotto anni (ora ne ha trentacinque), Greene ha esordito con un album di post-bop rovente e melodico nel 1997 (su RCA, roba oggi incredibile), per poi incamminarsi in una carriera ricca di collaborazioni eccellenti e di album solisti di tutto rispetto. ‘Mission Statement’, ad oggi, è l’ultimo della serie. Accompagnato dai fedelissimi Xavier Davis (piano), Reuben Rogers (contrabbasso) ed Eric Harland (batteria), cui si aggiunge la chitarra di Lage Lund, Jimmy Greene rifinisce e conferma la sua visione personale di jazz – che pure nella sua complessità strutturale, nella sua ricerca di composizioni non di rado cerebrali, mantiene sempre un occhio di riguardo per l’accessibilità. Il suo tenore ha, quasi di conseguenza, un suono voluminoso e rotondo, privo di asprezze; a tratti sembra di ascoltare un ibrido fra un agile tenore e un contralto peso massimo, come se Hank Mobley e Cannonball Adderley si manifestassero all’improvviso nel cervello e nelle mani di Branford Marsalis. 

Il fraseggio di Greene, anche quando si snoda attraverso sezioni complesse su ritmi ben poco lineari, non perde mai di vista un’ammirevole qualità melodica. Non dà in escandescenze nemmeno nei momenti, in teoria, più adatti ad una prova aggressiva: sobrio e misurato, è più propenso a lavorare sulle opportunità melodiche offerte dai brani e sull’approfondimento dell’atmosfera. Apre il disco la title track, caratterizzata da spigolosi unisono di sax e chitarra su un piano pulsante che dà slancio e tensione. La sezione ritmica è possente e ricca di colori (Harland del resto è uno dei migliori batteristi moderni) e quasi si contrappone al sereno eloquio del leader o agli accordi soffusi e misteriosi della chitarra. In direzione contraria troviamo un brano come ‘Fathers And Sons’, pervaso da un’atmosfera malinconica, con tensione sotterranea quando guida Lund e contemplativa nelle mani di Greene. In ‘Yeah You Right’ il piano viene sostituito dal Rhodes per un vivace numero soul-funk, mentre ‘Ana Grace’ e ‘In Nelba’s Eyes’ sono lenti di grande passionalità e tenerezza.  ’Revelation’, arricchita dal bel vibrafono di Stefon Harris, vede l’impiego del soprano (corposissimo e fluido), ‘Mr. Octopus’ è un eccitante tour de force ritmico dove, al solito, Greene tesse melodie su melodie con controllata energia. In qualunque circostanza emerge la perfetta coesione della band col suo peculiare sound così ampio, arioso, e allo stesso tempo compatto e potente.

Ottimo album? Sicuramente, anche di più. Attendiamo al più presto nuove mosse da parte di Jimmy Greene e dei suoi fidati compari, visto che ormai sono passati due anni…
(Negrodeath)

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