FREE FALL JAZZ

Steve Lehman's Articles

La grande storia del jazz a braccetto con le più innovative tendenze sonore: l’edizione 2017 del Bologna Jazz Festival, che si terrà dal 26 ottobre al 19 novembre, parlerà sia agli appassionati della tradizione e delle sue grandi star che al pubblico più giovane e curioso di vedere la musica improvvisata alle prese con i suoni della nostra contemporaneità, dall’elettronica all’hip hop. (Continua a leggere)

Che Steve Lehman fosse un artista estremamente eterodosso si era capito già da tempo: il suo passato come studente di Anthony Braxton e Jackie McLean, insieme a una mole di ascolti eterogenei che spaziano dagli A Tribe Called Quest a Harry Partch, l’hanno portato nell’ultimo decennio a coniare un idioma originale e innovativo che rielabora l’avant-jazz alla luce della sua personale teoria compositiva dell’M-base. A questo si era aggiunto, negli ultimi eccellenti ‘Travail, Transformation, and Flow’ (2009) e ‘Mise en Abîme’ (2014), uno studio sulle possibilità di adottare le tecniche compositive dello spettralismo alla musica jazz, con risultati ulteriormente esotici. (Continua a leggere)

Il concerto del quintetto di Steve Lehman doveva essere molto atteso, almeno a giudicare dal pubblico. Il Teatro S.Andrea di Pisa, ricavato da una chiesa sconsacrata, era infatti strapieno. Lehman e i suoi non si sono certo risparmiati, con una performance intensa, energica, ma non priva di perplessità – due in particolare. (Continua a leggere)

L’annuncio lo ha dato Lehman stesso dalla sua pagina Facebook: Selebeyon è il nome del suo nuovo progetto collaborativo, descritto dal sassofonista americano come musica “profondamente intrisa di rap senegalese, armonia spettrale, jazz contemporaneo hip-hop indipendente e altro ancora”, con l’obiettivo di creare “qualcosa di diverso da tutto il resto e con la potenzialità di avere una grande profondità emotiva”. (Continua a leggere)

Negli USA esiste una gran quantità di fondazioni private che ogni anno elargisce premi a individui brillanti, che si distinguono in attività scientifiche, culturali, artistiche, umanitarie. (Continua a leggere)

Quest’anno sarà piazza San Carlo, la più scenografica ed elegante piazza torinese, ad accogliere i concerti della quarta edizione del Torino Jazz Festival che si svolgerà dal 28 maggio al 2 giugno 2015. (Continua a leggere)

Da quando siamo online (ormai tre anni e rotti, il tempo è volato!), questo è stato il Final Countdown più difficile da compilare. Non perché l’annata sia stata particolarmente negativa, anzi, pur non facendoci gridare al miracolo, abbiamo ascoltato diversi ottimi dischi, bensì per mere regioni tecnico/logistiche. Non starò qui a tediarvi con la storia della mia vita, ma sono nel mezzo di un trasloco (che si concluderà tra una settimana) e quando mi sono seduto al PC per compilare questo post ho scoperto che era appena avvenuto lo switch della connessione internet dal vecchio indirizzo a quello in cui mi trasferirò a breve, ecco quindi spiegato perché non le avete viste online già questa mattina. Ovviamente le poll seguono le nostre consuete “non regole”: minimo 5 massimo 12 preferenze, più nomination facoltative per i peggiori, le ristampe o quant’altro. Come sempre, chi non si è espresso (per scelta, per indigestione di panettoni e quant’altro) resta comunque parte della nostra scombinata famigliola di amanti del jazz.

L’analisi dei voti non lascia spazio quasi ad alcun dubbio: la “svolta ECM” di Vijay Iyer non è piaciuta quasi a  nessuno e lo sberleffo pubblico nasce soprattutto con la speranza di rivederlo presto con un disco che lo riqualifichi ai nostri occhi. Noi ci crediamo: d’altronde, se uno scivolone ci può anche stare, sembra assai più improbabile che uno dei migliori pianisti di nuova generazione si trasformi in un brocco da un anno all’altro. Chi invece trionfa nettamente è Steve Lehman, che fa cappotto e si becca cinque preferenze su cinque, confermandosi tra i migliori compositori attualmente in circolazione. Alle sue spalle si piazza un veterano ancora in formissima come Wadada Leo Smith, che si prende tre preferenze con l’ambizioso ‘The Great Lakes Suite’ e anche due con ‘Red Hill’, in comunione con Jamie Saft,  Joe Morris e Balázs Pándi. Tre preferenze anche per l’ottimo Orrin Evans, ormai una conferma più che una sorpresa. Il resto potete leggerlo qui sotto, tra un pandoro, uno spumante e un trenino al ritmo di Meu Amigo Charlie Brown (o del clamoroso Capodanno con Gigi tra poche ore in TV). All’anno prossimo! (Continua a leggere)

I Fieldwork sono un trio che schiera i talenti di Steve Lehman (sax), Vijay Iyer (piano) e Tyshawn Sorey (batteria). La loro musica è cerebrale e geometrica, ma non per questo priva di interesse, come possiamo ascoltare in questa ripresa di un’ora nell’angusto spazio dello Stone, spazio performance no-profit dell’underground newyorkese.


Fats Waller è un’icona. Pianista, compositore, cantante, intrattenitore: la sua figura può essere esaminata a più livelli, rendervi omaggio non è affatto una cosa scontata. Jason Moran fu incaricato dall’Harlem Stage Gatehouse di scrivere qualcosa per celebrare la musica di Fats, e così due anni fa è nato lo spettacolo multimediale ‘Fats Waller Dance Party’. Il nuovo album ‘All Rise’ è un tentativo di riassumere questa esperienza dal lato esclusivamente musicale, rispondendo innanzitutto alla domanda iniziale: chi e cosa era Fats? Jason e i suoi collaboratori sembrano puntare innanzitutto sulla sua statura di intrattenitore a tutto tondo, capace di distillare la sua arte complessa e originale in un formato comprensibile e ballabile da tutti. Jazz ballabile, un concetto che oggi solleva più di una perplessità, ma ai tempi di Fats assolutamente normale. (Continua a leggere)

Con il precedente ‘Travail, Transformation And Flow’ il bravo Steve Lehman ha presentato al mondo il suo ottetto e la sua nuova musica, un volo del jazz nei territori della musica spettrale. Ovvero, musica i cui suoni sono regolati non da distanze fisse (cioè note), ma da micro-ampiezze variabili lungo l’intero spettro sonoro percepibile dall’orecchio umano. Naturalmente, il rischio di gettarsi di testa in una bella teoria musicale comporta l’uscirne con musica soporifera, se non si ha una buona dose di talento e visione. Lehman, anche se non lo scopriamo certo oggi, possiede entrambe, e guida con sicurezza la sua band attraverso composizioni dal suono arioso, geometrico, pulsante. (Continua a leggere)