FREE FALL JAZZ

Steve Coleman and the Five Elements's Articles

Proprio qualche giorno fa, in un dialogo virtuale tra me e altri due prodi imbrattapagine di FFJ come Negrodeath e Maurizio, si parlava delle esibizioni dal vivo di Steve Coleman, uno che si è ormai consolidato la fama di musicista capace di alternare serate superlative ad altre in cui sembra limitarsi a svolgere il compitino o poco più. Maurizio raccontava di averlo appena visto a Saalfelden in un set dall’approccio piuttosto scolastico, il che mi metteva addosso la giusta dose di ansia, visto che io Coleman avrei dovuto vederlo a Pomigliano Jazz poco dopo. Quale versione mi sarei trovato davanti? (Continua a leggere)

Mentre i festival italiani jazz sborsano migliaia di euro per portare musicisti improponibili nella speranza di raccattare pubblico generico, altrove le cose vanno un filino meglio. In Svizzera, per esempio, nel microscopico paese di Cully, c’è un festival in cui lo scorso anno ha suonato pure Steve Coleman. Ed è proprio in quella circostanza che è stata ripresa questa bellissima versione di ‘Respiratory Flow’.


Il Symphony Space è un modernissimo centro culturale multifunzione newyorkese, teatro di numerose attività nei più disparati settori. Fra questi non manca la musica, e nella musica non manca il jazz. E Steve Coleman è uno dei più grandi jazzisti dell’ultimo trentennio. Non stupirà quindi che Steve abbia tenuto un concerto/seminario di oltre due ore al Symphony Space, nè che sia possibile ascoltarlo in streaming! (Continua a leggere)

‘Functional Arrhythmias’ parte dall’idea di tradurre in musica le interazioni fra i vari sistemi dell’organismo – nervoso, respiratorio, circolatorio eccetera. Stravagante, dirà qualcuno. Non meno di tutto il resto della produzione del buon Steve, che ha sempre motivato teoricamente ogni sua opera. E nonostante la complessità della premessa, ‘Functional Arrhytmias’ è l’album più immediato e accessibile pubblicato dal contraltista di Chicago negli ultimi dieci anni. Tanto per iniziare, non ci sono cantanti: per brava che fosse Jen Shyu, la sua voce-come-strumento poteva risultare fastidiosa nel lungo termine. Adesso abbiamo un quartetto, dove colpisce innanzitutto la fantastica tromba del “giovane veterano” Jonathan Finlayson (un nome su cui ritorneremo), ma che in realtà è eccellente da qualsiasi punto di vista: nei ritmi funky scanditi dal discreto basso di Anthony Tidd, nelle complesse trame batteristiche di Sean Rickman, che combina legno e metallo con un attacco secco, hip-hop, per finire con l’aguzzo contralto del leader. (Continua a leggere)