Se esistesse un videogioco sul sassofono, James Carter sarebbe probabilmente il boss dell’ultimo livello. Sorta di Illinois Jacquet filtrato da Rashaan Roland Kirk, questo musicista controverso e sui generis è uno dei grandi irregolari del jazz odierno, tanto eclettico quanto di fatto inclassificabile. Il suo attaccamento alle radici blues, gospel, soul e rhythm’n'blues è fortissimo, e pervade in un modo o nell’altro tutta la sua opera, tesa a omaggiare, rielaborare e rinvigorire il grande continuum della musica nera mettendone in scena, di volta in volta, un particolare aspetto – tutti gli altri ne diventano subordinati ma sono sempre presenti, in una prassi della convivenza di svariate epoche jazzistiche solo apparentemente postmoderna. Carter ama infatti la citazione, il grottesco e l’ironia, ma non il distacco e la manipolazione cinica. Quest’anno sono usciti ben due album, stilisticamente e concettualmente agli antipodi, che ribadiscono ancora una volta lo sconfinato talento di questo geniale, sorridente gigante.