FREE FALL JAZZ

post rock's Articles

Caliendo è un ristorante ubicato in fondo a una strada isolata in cima a una collina. In un posto cosí mi aspettavo l’ennesima serata jazz abbinata a degustazioni enogastronomiche di qualche genere, e invece una volta tanto la location non si piega alla “cancrena” che sta prendendo sempre più piede nell’ambiente musicale nostrano: alle 22:30 precise tutti i tavoli sono completamente sgombri e l’attenzione è rivolta solo al quartetto di Caterina Palazzi, che – massima stima – attacca a suonare con una sorprendente rielaborazione del ‘Laura Palmer’s Theme’ dalla colonna sonora di Twin Peaks. É l’inizio di una prova maiuscola: i ragazzi (indisponibile Maurizio Chiavaro, sostituito egregiamente da un batterista napoletano)  suonano con l’entusiasmo e la voglia di spaccare il mondo tipica dei giovani, ma allo stesso tempo con la scioltezza e la precisione dei veterani più scafati. (Continua a leggere)

L’approdo su Constellation e il conseguente “sdoganamento” di Matana Roberts presso un pubblico che normalmente mastica poco jazz tracciano attorno a ‘Coin Coin’ un inevitabile alone di diffidenza. Si tratta però di un matrimonio che stupisce solo i meno attenti, dato che l’etichetta canadese in passato ha già dimostrato di saper guardare oltre gli steccati del post rock (un esempio per tutti: l’oscuro folk di Elizabeth Anka Vajagic) e la stessa Roberts ha più volte collaborato con artisti del suo roster, dai Silver Mt. Zion (o come volete chiamarli) ai Godspeed You! Black Emperor di ‘Yanqui UXO’.

La sassofonista di Chicago (ormai al quinto lavoro da leader) si presenta con un ambizioso concept sulla schiavitù e la condizione afroamericana nell’anteguerra, argomento approfondito con tanto di ricerche nel proprio albero genealogico e scandito negli 8 brani in programma soprattutto attraverso interventi di spoken word piuttosto che da vere e proprie parti vocali. Altrettanto particolare è la musica: a capo di un ensemble di 15 elementi (sassofoni, trombe, violini, bassi, violoncello, chitarra, piano, batteria e persino un duduk), Matana prova a spaziare in lungo e in largo tra rimandi e citazioni, partendo da una sorta di free jazz “contaminato” che vede nella Art Ensemble Of Chicago dei numi tutelari quasi inevitabili, vista la comune provenienza. (Continua a leggere)

Kilimanjaro Darkjazz Ensemble

Guardandomi intorno, mi sono accorto che il nuovo Kilimanjaro Darkjazz Ensemble, ormai fuori da un po’, è stato generalmente accolto in due modi distinti e ben riconoscibili. Da un lato gli snob con la puzza sotto il naso che però non è Here The Dragons, l’omonimo era un’altra cosa, i primi sono meglio, dall’altra quelli che per darsi un tono partono con voli pindarici da Giacomo Leopardi all’amatriciana, come ogni qualvolta gli si para davanti musica che sconfini anche solo leggermente dai canoni della forma canzone.  Ora, non per attaccare pure io con le frasi fatte (o anche sì), ma per l’ennesima volta la verità sta circa nel mezzo.

Intanto proviamo un attimo a spiegare Kilimanjaro Darkjazz Ensemble a chi è a digiuno: la proposta del collettivo olandese è talmente ricca di riferimenti e richiami da poter essere recensita (purtroppo?) su un numero indefinibile di siti e pubblicazioni. La parte più jazz è di certo nel nome, anche se nei dischi poi incontriamo passaggi di sassofono, pianoforte o ritmici che suonano più o meno imparentati col suddetto genere. (Continua a leggere)