FREE FALL JAZZ

post bop ma mezzo free ma insomma chissene's Articles

In questo 2012 ormai agli sgoccioli c’è tempo anche per la conferma di Avishai Cohen – il trombettista, non l’omonimo bassista – tra i migliori volti nuovi (si fa per dire, visto che il suo esordio risale ormai a una decina d’anni fa) della musica jazz. ‘Triveni II’, come la prima parte uscita un paio d’anni fa, lo vede alla guida di un trio tanto inusuale quanto solidissimo, completato dalla sezione ritmica di Omer Avital (basso) e Nasheet Waits (batteria): i risultati sono altrettanto entusiasmanti.

Già i due originali di apertura, ‘Safety Land’ e ‘B.R. Story’ (quest’ultima già anticipata dal vivo quando lo abbiamo visto l’anno scorso)  mettono bene in chiaro i territori in cui ci si muoverà: un trascinantissimo post bop con qualche tendenza free; si veda ad esempio il break centrale della già citata ‘Safety…’, in cui prima la batteria e poi il basso si ritrovano a improvvisare da soli al centro della scena. La lista degli artisti omaggiati con riletture poi parla da sé: (Continua a leggere)

Darius Jones, fra i più interessanti giovani contraltisti emersi negli ultimi anni, non ama stare con le mani in mano. Eccolo quindi col suo terzo album (quarto se si include quello realizzato assieme a Matthew Shipp) da leader in poco più di tre anni, sotto l’egida della sempre interessante AUM Fidelty. Al solito, la formazione è del tutto cambiata: troviamo il contrabbasso di Trevor Dunn, il piano di Matt Mitchell e la batteria di Ches Smith, mentre non è cambiato il bellissimo sax del corpulento leader, dal suono cremoso e bluesy che riporta alla luce Johnny Hodges e Cannonball Adderley. Quelle note vibranti, appassionate, ricche di vibrati e glissando, del resto parlano chiaro, e va reso merito a Jones di aver recuperato un tipo di sonorità oggi quasi estinta. Venendo a ‘Book Of Ma’bul’, ci troviamo di nuovo catapultati nel mondo schizofrenico già evocato in passato, in costante bilico fra recupero delle fonti (il blues, il gospel, Charlie Parker e Ornette Coleman) e la relativa distorsione, spesso e volentieri sorprendente. Il quartetto è davvero bravissimo nel costruire un’aspettativa e poi cambiare totalmente registro in un secondo, ma con naturalezza, senza caos né voglia di strafare. (Continua a leggere)