FREE FALL JAZZ

Michael Wimberly's Articles

Innanzitutto un’esortazione che mi pare doverosa, altrimenti la mia coscienza non mi lascerebbe in pace: attenzione. Fate MOLTA attenzione. Quando vi approcciate all’ascolto di questo disco, assicuratevi di non tenere il volume troppo alto pigiando play: si apre a tradimento con uno strepito di sax che pare una via di mezzo tra unghie che strisciano su una lavagna e la sgommata apocalittica di una corsa clandestina. Io non lo sapevo, e premere quel fatidico play mi ha estorto blasfemie. In verità qualche blasfemia me l’ha strappata anche il resto dell’ascolto, ma procediamo con ordine.

La storia vuole che Gayle si vide sfumare, nei lontani anni ’60, la possibilità di incidere un disco per la ESP nel momento in cui l’etichetta era la principale ambasciatrice del free jazz nel suo periodo di massimo splendore. Oggi, quasi 50 anni dopo, un disco del sassofonista newyorkese su quella etichetta esce per davvero, ma chi si aspettava una buona replica all’ottimo ‘Streets’ di qualche mese fa è destinato a rimanere deluso. ‘Look Up’ contiene materiale risalente al 1994, con ogni probabilità il miglior periodo della carriera di Gayle, il problema vero è la registrazione completamente amatoriale che rende l’ascolto arduo anche per le orecchie più audaci. (Continua a leggere)

È strano iniziare il 2012 con la recensione di un disco uscito più o meno alla fine del 2010? Forse. Ma se ci seguite saprete bene che qui non ci formalizziamo quando si tratta di consigliare un bel disco che per un motivo o per l’altro potreste aver perso. Di ‘Beneath Tones Floor’ in effetti non si è parlato tantissimo ed è un vero peccato, non solo per la qualità della musica, ma anche per premiare l’ottimo lavoro della No Business, attiva etichetta lituana con un occhio di riguardo per l’avantgarde che ha in catalogo più d’una proposta interessante.

L’inedito trio Thomas / Sirone / Wimberly poi stuzzica per tutta una serie di motivi: innanzitutto geograficamente, vista l’unione tra una sezione ritmica tipicamente east coast e un fiatista di stanza a L.A. come Oluyemi, ma anche in veste “documentaristica”, trattandosi con ogni probabilità dell’ultima incisione di Sirone in terra americana (i brani risalgono infatti al 2008, circa un anno prima della scomparsa del bassista). La musica si muove nei territori che ci si aspetterebbero dai nomi coinvolti, ossia un jazz privo di strutture formali e completamente devoto all’improvvisazione. (Continua a leggere)