FREE FALL JAZZ

Michael Brecker's Articles

In un periodo nel quale stenta a proporsi sulla scena contemporanea abbondanza di figure carismatiche, perlomeno se paragonata a quella dei jazzisti delle generazioni precedenti, ho scelto di riproporre questo disco omonimo di Michael Brecker, il suo primo da leader, inciso alla matura età di 38 anni, per omaggiare e non dimenticare un grande tenorsassofonista, scomparso peraltro prematuramente da soli otto anni, tra i più influenti e significativi del post-coltranismo. Eppure Brecker non ha mai goduto di buonissima stampa da parte della nostra critica specializzata, da sempre alla ricerca smaniosa del musicista innovatore sul piano formale e strutturale (per quel che mi riguarda il preambolo formale applicato come criterio generale di valutazione in ambito jazzistico, continuo a trovarlo discutibile, se non in diversi casi persino fuorviante) e poco attenta all’aspetto della forza espressiva, che è da sempre invece la peculiare caratteristica di quella musica improvvisata che da ormai oltre un secolo di nome fa “Jazz”. (Continua a leggere)

Il contesto è alquanto insolito: esibizione in pieno giorno per una platea di pochi intimi, il tutto sembra rimandare più a un pic nic pasquale che non a un festival jazz intitolato al grande Clifford Brown. Eppure è proprio così: siamo a Wilkinson, nel Delaware, anno di grazia 2000 (11 Giugno, per la precisione) e sul palco al pianoforte c’è l’immenso McCoy Tyner.  Attorno a lui Michael Brecker al tenore e la sezione ritmica di Avery Sharpe (basso) e Aaron Scott (batteria). Nonostante l’insolito contesto, la performance è notevole e il quartetto non perde un colpo. Abbiamo scelto per voi ‘Mellow Minor’.