FREE FALL JAZZ

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Tra Musica e Scienza ci sono molte più affinità di quanto non si creda in prima istanza e non solo sul piano meramente fisico, legato alla produzione dei suoni, ma anche in termini di logica costruzione formale e strutturale. Per questo gli organizzatori di Bergamo Scienza in tutte le edizioni propongono ogni anno qualche tema legato alla musica, ingaggiando qualche affermato musicista per un’esibizione concertistica. A chiusura della XII edizione, gli organizzatori della manifestazione hanno ritenuto interessante invitare il contrabbassista e compositore Avishai Cohen con il suo trio completato da Nitai Hershkovits al piano e Daniel Dor alla batteria. (Continua a leggere)

29° INNtone JazzFestival 6-8 Giugno 2014

Austria, montagne, natura, birra e FESTIVAL. La risposta alla domanda “perché InnTone?”, festival dai più sconosciuto,  è stata la voglia di ritrovare un po’ lo spirito dei festival anni 80, meno professionali ma più “ruspanti”. E qui “ruspante” è proprio l’aggettivo esatto.

Il palco è dentro un fienile (!), infatti Jazz Am Bauernhof significa proprio fattoria. L’atmosfera è giusta, ma purtroppo, come ormai capita in tutti i festival, ci si ritrova tra amici, siano dall’Austria, dalla Germania o dalla Slovenia. Non esiste neanche qui, nonostante la massiccia proposta di festival jazz e avanguardia, un interesse giovanile. Si incomincia con un progetto che sulla carta avrebbe dovuto fare scintille, ma proprio così non è stato. La New Jungle Orchestra di Pierre Dorge con ospite James “Blood” Ulmer, non ha saputo creare il giusto feeling, molto meglio quando il chitarrista si è esibito in trio. (Continua a leggere)

Si sono dette molte cose sul conto di Charles Lloyd, spesso nemmeno lusinghiere, prima fra tutte l’accusa di essere un furbacchione in cerca dei consensi del grande pubblico. Al secondo posto, quella di esser solo bravo a cercarsi i musicisti giusti e lasciar fare tutto a loro. La realtà, probabilmente, sta nel mezzo: di per sè, Lloyd è un personaggio marginale della storia del jazz, un epigono coltrane-iano senza troppa fantasia nè talento, più incline all’estetizzazione che altro, al pari di Pharoah Sanders. Detto questo, dobbiamo anche riconoscerne i centri, come questo album dal vivo registrato nel 1966 celebre al Monterey Jazz Festival. Al tempo la band di Lloyd (al tenore e al flauto) comprendeva i giovanissimi Cecil McBee (contrabbasso), Keith Jarrett (piano) e Jack DeJohnette (batteria), e nonostante fosse insieme da pochi mesi poteva vantare una compattezza invidiabile. (Continua a leggere)

Di solito, quando metto insieme le parole Blue, Note e Milano nella stessa frase e senza punteggiatura, senza pause, ho un piccolo brivido. Subito mi vengo in mente folle vocianti, sciccoserie inutili, parole come “cool”, “figa oh”, “minkia a me piace il gièzz”, rumorosi tacchi a spillo e profumi da strapponi… Il tutto annaffiato da un listino prezzi che accetta solo organi freschi. Di solito è così. Ma non questa volta.

Questa volta è stato tutto perfetto. Alle 21:00 spaccate sale sul palco il Paolo Fresu Quintet che quest’anno compie 30 anni. Trent’anni. Sono trent’anni che Paolo Fresu (Flicorno e tromba), Tino Tracanna (al Soprano e tenore… quanto mi piace ‘sto cognome… Tracanna…), Attilio Zanchi (contrabbasso), Ettore Fioravanti (batteria) e Roberto Cippelli (Piano) suonano insieme. Forse (così, a naso) uno dei quintetti più longevi della storia. Trent’anni e più di venti dischi. Hanno firmato pubblicazioni con Splash, EMI-Blue Note, RCA-VictorBMG e, l’ultimo, un doppio cd di selezione dei brani che hanno fatto la storia del quintetto, pubblicato dalla Tuk Musik, l’etichetta fondata da Paolo. (Continua a leggere)

Foto di Bar Borsa        

Che bello il venerdì. Il venerdì è la fine della settimana e questo basta a renderlo un giorno speciale. Ma quel venerdì doveva essere ancora più speciale. Al conservatorio di Novara, era in programma un live del Trio di Vijay Iyer. A Novara, a 20 minuti di pandino; non in una lontana Nürgenbrigensbrunzhen a caso nel punto più remoto della Germania da casa mia. A Novara. Già mi vedevo, pieno di Bagna càuda, trasudante aglio e bello avvinazzato di un buon rosso delle Langhe a gustarmi il concerto di uno dei più estrosi e abili pianisti in circolazione.

E invece no: “Purtroppo a causa di uno sciopero dei trasporti aerei il Vijay Iyer Trio è bloccato a Bucarest e non riuscirà ad atterrare in tempo per la performance a Novara. Il concerto previsto per stasera all’Auditorium Cantelli è pertanto annullato. Serena, conservatorio di Novara”… Finii di bestemmiare dopo due ore. Vomitato addosso al prete mi slegai dal letto benedetto e scesi in garage gattonando all’indietro. Il pandino già mi aspettava scalpitando. Partii a fuoco. Arrivato al confine Slavo mi calmai. Decisi che l’operazione “Vai a prendere Vijay a Bucarest e portalo a Novara” doveva finire lì. Ripresi coscienza a poco a poco e appresi che di lì a due giorni avrebbe suonato al Bar Borsa di Vicenza. (Continua a leggere)

Foto: Shari Carrie Addams

Com’è ormai prassi per i musicisti jazz italiani che non siano i soliti quattro o cinque grandi nomi, il concerto del trio di Lorenzo Capello si è svolto fra prosciutti e prosecchi, nella cornice (invero incantevole) offerta da La Bottega di Marina di Pietrasanta. (Continua a leggere)

Prima di parlare del concerto, vorrei fare alcune piccole osservazioni, che già animano il dibattito sul futuro dell’ascolto e della fruizione della musica jazz. Partiamo dalla localizzazione. I cittadini di Mestre, che negli anni 70/80 hanno dimostrato curiosità per tutte le varie forme culturali, mano a mano hanno perso quest’interesse. I concerti della serie “Un certo discorso”, prodotti da Radio Tre con ospiti americani ed europei, con lunghe code per l’ingresso fuori dal teatro Corso, sono un esempio di quello che è stato. Forse faceva figo andare ad ascoltare jazz? Non penso, ripeto che tutti gli eventi culturali erano molto frequentati. Certo, se elimini un grande evento, come la Mostra del Cinema, poi non molti sono disposti ad andare fino al Lido a vedere un film! Ma forse questo è più legato ad una sorta di campanilismo (!) con Venezia. (Continua a leggere)

Rispetto alla prima serata c’è più gente, trovare posti a sedere è impresa assai ardua e molti sono quelli che si accomodano in piedi ai lati delle poltroncine. Verrebbe da pensare che gli appassionati di jazz sono tutti qui per non perdersi l’appuntamento importante, non fosse per il viavai di gente che con nonchalance si alza e si siede per tutta la durata del concerto, tra ritardatari che chiedono se quel posto vuoto è occupato, curiosi che guardano un paio di pezzi e via, altri che tolgono le tende dopo mezz’ora per chissà quale coprifuoco (alle 23 la loro utilitaria si sarebbe trasformata in zucca?) e altri ancora che si aggirano come avvoltoi, pronti a fiondare il deretano sul primo quadrato di plastica che resta libero. Come se non bastasse, a un certo punto ti giri e scopri una coppia più o meno matura che DORME abbracciata. A pochi posti di distanza, una signora segue l’esempio. (Continua a leggere)

Se avete un profilo Facebook e tra le vostre conoscenze figurano individui d’età compresa tra i 20 e i 35 anni (ma diciamo pure 40), sono pronto a scommettere che avete le scatole disintegrate dai terrificanti post sul concerto dei Radiohead – roba con un hype che manco la resurrezione di Cristo – e il vostro sogno neanche troppo recondito sarebbe stato di presentarvi ieri sera all’ippodromo delle Capannelle equipaggiati come Schwarzenegger in ‘Commando’ e uscire qualche ora dopo su tutti i telegiornali. Noi però abbiamo tenuto a bada certi istinti e ieri sera siamo andati a vedere Pomigliano Jazz che riapre i battenti (giunto ormai alla sua diciassettesima edizione), seppur in una location ridimensionata rispetto agli anni scorsi. (Continua a leggere)

Caliendo è un ristorante ubicato in fondo a una strada isolata in cima a una collina. In un posto cosí mi aspettavo l’ennesima serata jazz abbinata a degustazioni enogastronomiche di qualche genere, e invece una volta tanto la location non si piega alla “cancrena” che sta prendendo sempre più piede nell’ambiente musicale nostrano: alle 22:30 precise tutti i tavoli sono completamente sgombri e l’attenzione è rivolta solo al quartetto di Caterina Palazzi, che – massima stima – attacca a suonare con una sorprendente rielaborazione del ‘Laura Palmer’s Theme’ dalla colonna sonora di Twin Peaks. É l’inizio di una prova maiuscola: i ragazzi (indisponibile Maurizio Chiavaro, sostituito egregiamente da un batterista napoletano)  suonano con l’entusiasmo e la voglia di spaccare il mondo tipica dei giovani, ma allo stesso tempo con la scioltezza e la precisione dei veterani più scafati. (Continua a leggere)