Era un po’ che non pubblicavamo niente di Art Blakey e dei sempre straordinari Jazz Messengers, quindi risolviamo la giornata con questa torrenziale versione di ‘Moanin”, registrata non si sa dove, ma si suppone intorno al 1958: il disco omonimo era uscito l’anno prima e sul palco vediamo appunto Lee Morgan, Benny Golson, Bobby Timmons e Jymie Merrit.
“Sanremo, tra grandi autori e tanto jazz il Festival della canzone al via il 12 febbraio”, recita il titolo di una velina Adnkronos riguardante l’imminente Festivàl. Tanto jazz, mica brodo di fagioli: “C’è il jazz di Raphael Gualazzi, che firma testi e musica di entrambi i suoi brani, ‘Sai (ci basta un sogno)’ e ‘Senza ritegno’ (che contiene una metafora “ti sparo nelle gambe e divento cristiano/dopotutto non è male se mi sento più umano”, che non piacerà ai cattolici), con i quali il pubblico dell’Ariston avrà difficoltà a rimanere fermo sulle poltrone.” Fremiamo. Nel frattempo, rimembriamo che un tempo a Sanremo c’era pure il Festival del Jazz e in tal occasione, nel 1963, fecero la loro prima data italiana Art Blakey e i Jazz Messengers, quelli della meravigliosa formazione con Hubbard, Shorter, Fuller e Walton. Quelli che potrete gustarvi qui sotto.
Il bellissimo filmato che vi accingete a visionare viene dagli archivi di una tv tedesca. Fu girato in occasione del settantesimo compleanno di Art Blakey al festival di Leverkusen, ed è una vera goduria per una serie di motivi. Il primo, banalmente, è che si tratta di Art Blakey e dei Jazz Messengers, all’epoca composti da Brian Lynch (tromba), Javon Jackson (tenore), Donald Harrison (contralto), Frank Lacy (trombone), Essiet Okon Essiet (contrabbasso) e Geoff Keezer (piano); il secondo la parata di ospiti speciali, gente lanciata proprio da Blakey verso l’empireo che torna a festeggiare il maestro, e si parla di Freddie Hubbard, Wayne Shorter, Benny Golson, Walter Davis jr, Jackie McLean e Terence Blanchard; ‘Mr Blakey’, un divertente brano scritto appositamente da Horace Silver (che non aveva potuto partecipare) e cantato da Michelle Hendricks; infine, Roy Haynes dietro la batteria e Art al pianoforte per una bella versione del classico di Monk ‘In Walked Bud’. E poi, la musica dei Messengers… ma quella non si discute, giusto?
Come già detto in precedenza, l’idea alla base di Picture This è proporre video interessanti a voi che leggete. Oltre a questo, per quanto possibile, ci piace scegliere video “non inflazionati”, è per questo che cerchiamo di proporre anche filmati che non fossero già nello sterminato archivio di YouTube prima che ce li mettessimo noi. Questa settimana la proposta è un Art Blakey quasi a fine carriera, ma ancora in forma più o meno smagliante. L’occasione è uno show in terra tedesca, all’Internationale Jazzwoche di Burghausen per la precisione, in cui si festeggia anche il trentaseiesimo anniversario dei Jazz Messengers. La data è 23 Marzo 1984, e il brano che vi proponiamo è ‘Duck Soup”, tratto dall’album ‘Oh By The Way’ (di un paio d’anni precedente) e composto dal bravo altosassofonista Donald Harrison.
No, non abbiamo sbagliato copertina. Certo, ‘A Night In Tunisia’ ha una delle front cover più note e riconoscibili della storia, eppure qui accanto ne vedete una diversa. L’arcano (che per i più attenti non sarà tale) è presto risolto: si tratta di un altro disco. Non sono molti a ricordarlo, ma oltre allo storico classico su Blue Note del 1960, la discografia di Art Blakey (senza contare varie raccolte semi-ufficiali) ne contiene almeno un paio dal titolo uguale o molto simile: l’omonimo del 1957 su RCA, e questo ‘Night In Tunisia’ del 1979, che rispetto al ben più noto predecessore omette l’articolo.
Gli anni ’70 furono un periodo particolare per il batterista di Pittsburgh, ricordato più che altro per la partecipazione al progetto Giants Of Jazz in compagnia di altri monumenti tipo Gillespie, Monk e Stitt. La versione dei Jazz Messengers attiva nella seconda parte del decennio, pur autrice di buone prove come ‘In This Korner’ (del ’78), non è mai stata particolarmente celebrata, schiacciata da un lato dai leggendari “messaggeri” degli anni ’50 e ’60 (inutile fare nomi: se non li conoscete probabilmente siete capitati su queste pagine cercando su google “il mondo non si è fermato mai un momento”) dall’altro dalla formazione che negli anni ’80 porterà Blakey ad un quasi inaspettato ritorno di popolarità, con un giovanissimo Wynton Marsalis sugli scudi. (Continua a leggere)