FREE FALL JAZZ

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Il Bonnaroo Festival è uno dei più grossi eventi musicali degli Stati Uniti, quattro giorni di musica di ogni tipo nella campagna del Tennessee. Ci suonano musicisti di tutti i tipi e di tutte le estrazioni, vecchi e nuovi, dal pop di Elton John al metal dei Lamb Of God passando per ZZ Top, Stevie Wonder, Zac Brown Band e chi più ne ha più ne metta. Ogni anno il festival si chiude con una grande jam session; nell’edizione 2016, la jam è stata guidata da Kamasi Washington e filmata professionalmente. Eccola qui sotto, due ore di jazz/soul/funk/fatevoi davvero trascinanti.


12° e ultima serata organizzata dall’Associazione JAZZ@MILANO alle
Officine Creative Ansaldo, Spazio Palco, via Tortona 54, Milano.
INGRESSO LIBERO

Ultimo appuntamento per gli appassionati di Jazz, Latin e Fusion, ultima delle 12 occasioni di incontro tra pubblico e musicisti realizzate dal gennaio di quest’anno, la serata comporterà performance live ad oltranza, fino a quando ci saranno musicisti con la voglia e la forza di suonare.

Il programma della serata alternerà momenti di jam estemporanee tra i musicisti presenti sul posto (con un software innovativo) e brani di gruppi strutturati. A disposizione dei musicisti per la jam session ci sarà un palco attrezzato con pianoforte, batteria, amplificatori per basso e chitarra, microfoni per i fiati, banco di regia e tecnico del suono. (Continua a leggere)

Non proprio field recording (ossia la registrazione di rumori d’ambiente), ma quasi: è ciò che spesso chiedono quelli del sito americano npr.com ai musicisti che riescono ad “agganciare”. Sessioni improvvisate in cui i “malcapitati” sono invitati a jammare in luoghi insoliti, integrando i propri strumenti con materiali non esattamente ortodossi. Vi proponiamo qui 3 minuti di piccolo capolavoro: la tromba di Avishai Cohen si sposa con il tappeto ritmico creato dal fenomenale Eric Harland (il cui personale curriculum comprende gente come McCoy Tyner, Greg Osby e Terence Blanchard, giusto per dire), che percuote le bacchette su due rottami metallici. Un espediente vecchio come il cucco, ma di rado così efficace: chapeau.

Josh Roseman, trombonista, è uno dei musicisti più attivi del foltissimo sottobosco newyorkese, fra collaborazioni e progetti personali. La sua discografia personale, purtroppo, è tutt’altro che nutrita, ma forse perché preferisce la qualità alla quantità. ‘Treats For The Nightwalker’, sua seconda uscita, è un lavoro intrigante e originale: lo si potrebbe chiamare jazz for raving and nightclubbing, non fosse che poi salterebbe su qualcuno a rompere le scatole sulla purezza e la commercialità e l’arte etc etc, e quindi non lo facciamo.

In questi settanta minuti di musica (!) il sestetto base di Roseman viene aumentato da una nutrita serie di ospiti, diversi a seconda del pezzo: organo, tastiere, quartetto d’archi, tromba e flicorno, diveri sassofoni, percussioni, chitarra. Ma al di là degli assoli, comunque bellissimi, a cura di Roseman e dei vari Russell Gunn, Liberty Ellman, Myron Walden, Chris Potter etc, quello che conta realmente è il suono d’insieme. E infatti ‘Treats…’ suona come una gigantesca, interminabile jam di jazz elettrico che parte dagli anni ’70 di Miles Davis (‘Live/Evil’, ‘On The Corner’, ‘Agartha’, ‘Pangea’) e Herbie Hancock (‘Mwandishi’, ‘Sextant’, ‘Headhunters’), passa per le complesse polimetrie dello Steve Coleman dei primi anni ’90 (‘Drop Kick’ e ‘Def Trance Beat’ soprattutto) e getta infine uno sguardo indagatore sul mondo della musica dub, reggae, trip-hop e drum’n'bass. (Continua a leggere)