FREE FALL JAZZ

Gregory Porter's Articles

Gregory-Porter-300x300Prendo atto che da Liquid Spirit del 2013, Gregory Porter, cantante e songwriter, ha ottenuto un enorme successo, vendendo oltre un milione di copie a livello globale, vincendo nel 2014 il Grammy nella categoria Best Jazz Vocal Album, ma l’ascolto di quest’ultimo suo lavoro, come quello di allora che avevo recensito un paio di anni fa, mi ha lasciato del tutto indifferente e forse meriterebbe le stesse parole. Probabilmente capirò poco di cantanti, può anche essere, ma francamente non comprendo tutto questo entusiasmo per un canto e una proposta che nella grande tradizione afro-americana del pop-soul (stento a considerarlo all’interno del vocal jazz, ma in fondo non è poi così importante) paiono essere del tutto ordinari. Mi domando seriamente cosa dovrei dire allora di giganti del genere come Ray Charles, Marvin Gaye, Stevie Wonder, Donny Hathaway, Luther Vandross e Michael Jackson, tanto per citare i più noti (ma potrei fare decine di altri nomi), ai quali, si dice, la voce baritonale di Porter (almeno in parte) si ispirerebbe. (Continua a leggere)

Ravenna Jazz 2015, con la sua ricca sfilata di vocalist, avrà molto da dire (e da far ascoltare) in tema di jazz cantato. Scorrendo il cartellone della 42a edizione del festival, in scena dal 2 all’11 maggio, c’è da diventare ebbri di canto: Dee Dee Bridgewater con China Moses, Dianne Reeves, Gregory Porter, Sarah Jane Morris, Cristina Donà, Jennifer Maidman, Mina Agossi, le tre Blue Dolls, senza trascurare l’imponente massa corale del “Pazzi di Jazz” Young Project (che coinvolgerà anche Paolo Fresu). Concentrata nel giro di dieci intensi giorni, questa parata di star trasformerà il festival ravennate in una specie di interminabile notte degli Oscar del jazz vocale. (Continua a leggere)

Quello dei cantanti jazz (o pseudo tali) è un filone che le case discografiche in questi tempi di magra cercano di sfruttare al meglio con prodotti musicali che hanno il pregio, dal loro punto di vista, di poter abbracciare un pubblico molto più ampio, non forzatamente specifico del jazz, sfruttando una trasversalità di genere che oggi va molto di moda presso un pubblico musicalmente e vocalmente non troppo colto e che ama avere in sottofondo per le proprie serate con gli amici della buona musica che possa essere apprezzata da tutti e dia un tono quell’attimo meno “rustico” e scontato del mettere l’ultimo successo da hit parade. Capisco, inoltre, che siamo in tempi di crisi e che le case discografiche sopravvissute alla falcidia dei download di rete abbiano l’obbligo di pubblicizzare i prodotti musicali messi in circolazione e di spingere adeguatamente i loro musicisti, ma trovo il riscontro quasi unanime di cui gode questo corpulento e giovane vocalist afro-americano davvero eccessivo e poco giustificato. (Continua a leggere)