FREE FALL JAZZ

Evans il pianista ma quello negro's Articles

Dopo aver pubblicato uno dei più bei dischi dello scorso anno con ‘Captain Black Big Band’, Orrin Evans non perde tempo e torna rapidamente sul mercato con un nuovo album in trio. Il piano trio è uno dei formati più abusati della storia del jazz ed è forte il rischio di cadere nel già detto o, peggio ancora, nel riccardonismo meditativo e melodico dei vari epigoni di Evans (Bill) e Keith Jarrett (Brad Meldhau, parliamo pure di te). Jason Moran e Vijay Iyer sono riusciti, con grande successo, a rinnovare il formato in maniera profonda e originale. Ora tocca a ‘Flip The Script’, un album che non presenta ospiti (a differenza del precessore, l’ottimo ‘Freedom’) e persegue l’ideale estetico di questo grande e sottovalutato artista, ovvero la divulgazione tramite la rielaborazione e l’aggiornamento di tutto il continuum della grande musica nera. Il denso fraseggio ricco di sonorità blues, soul e gospel, i complessi poliritmi ricchi di spiazzamenti, l’invenzione melodica e le asimmetrie metriche parlano la lingua di McCoy Tyner, Horace Silver, Thelonious Monk e Cedar Walton, fonti di un discorso musicale attualissimo e fresco. Gran parte del materiale è firmato da Evans stesso, ed è veloce, aggressivo, ricco di improvvise variazioni e cambi di traiettoria in media res che rendono l’ascolto eccitante. (Continua a leggere)

Orrin Evans è una sorta di eminenza grigia di quella generazione perduta del jazz degli anni ’90. Un pianista, leader, arrangiatore, compositore, scopritore di talenti e chi più ne ha più ne metta, impegnatissimo sul fronte della divulgazione e con una ricca carriera discografica alle spalle – in proprio, come sideman e con i progetti Tarbaby (oggetto di futura dissezione) e la qui presente Captain Black Big Band. L’orchestra jazz non gode di ottima salute oggigiorno, soprattutto per i costi molti alti che comporta, ma Evans non è tipo da scoraggiarsi. Radunati musicisti del giro di Phildadelphia e New York (come Ralph Bowen, Tia Fuller, Jaleel Shaw, Wayne Escoffery, Mark Allen, Luques Curtis e molti altri ancora), Evans ne mette insieme una esplosiva, cui si addicono tutti quegli aggettivi come ‘swingante’, ‘hot’, ‘hard’ e compagnia. Ma al di là di queste note di colore, la carne al fuoco è davvero molta. Molte recensioni in giro hanno fatto paragoni con Ellington, Mingus e Marsalis, ma sebbene le influenze di questi tre maestri siano presenti, il paragone più immediato è quello con Oliver Nelson, per il suono asciutto, squillante, con ottoni taglienti in primo piano e quei “blocchi di suono” che si sovrappongono e si scontrano in maniera sempre eccitante.

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