Quando, fra la fine degli anni ’60 e l’inizio della decade successiva, Miles Davis incise una serie di album in studio per avvicinare la sua musica al funky, aprì un vaso di pandora i cui effetti si avvertono ancora oggi. Fra questi, l’utilizzo dello studio come ulteriore strumento di registrazione: lunghissime jam strumentali poi sottoposte ad un paziente lavoro di taglia, incolla, smonta, rimonta, duplica, moltiplica, isola, manda in loop etc per dare un significato del tutto nuovo al materiale di partenza. Fu l’inizio, involontariamente, del modus operandi dell’hip-hop, che dal jazz discende e che al jazz ritorna, grazie a tanti bravissimi giovani musicisti. Fra questi pure il batterista Makaya McCraven, che fa suo il metodo di Miles Davis e Teo Macero applicandolo a quarantotto ore di jam. (Continua a leggere)