FREE FALL JAZZ

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Gregory-Porter-300x300Prendo atto che da Liquid Spirit del 2013, Gregory Porter, cantante e songwriter, ha ottenuto un enorme successo, vendendo oltre un milione di copie a livello globale, vincendo nel 2014 il Grammy nella categoria Best Jazz Vocal Album, ma l’ascolto di quest’ultimo suo lavoro, come quello di allora che avevo recensito un paio di anni fa, mi ha lasciato del tutto indifferente e forse meriterebbe le stesse parole. Probabilmente capirò poco di cantanti, può anche essere, ma francamente non comprendo tutto questo entusiasmo per un canto e una proposta che nella grande tradizione afro-americana del pop-soul (stento a considerarlo all’interno del vocal jazz, ma in fondo non è poi così importante) paiono essere del tutto ordinari. Mi domando seriamente cosa dovrei dire allora di giganti del genere come Ray Charles, Marvin Gaye, Stevie Wonder, Donny Hathaway, Luther Vandross e Michael Jackson, tanto per citare i più noti (ma potrei fare decine di altri nomi), ai quali, si dice, la voce baritonale di Porter (almeno in parte) si ispirerebbe. (Continua a leggere)

Questa volta a Glasper il gioco riesce meno bene del solito. L’obiettivo è lo stesso del fortunato ‘Black Radio’, che buoni consensi ha riscosso un anno e mezzo fa: aprire gli occhi del pubblico “casuale” sul jazz rendendoglielo sufficientemente digeribile e “pop” attraverso l’ibrido con la musica “urban” contemporanea (hip hop, neo-soul, R&B).

Il pianista texano prosegue dunque nel medesimo solco, sebbene il differente dosaggio degli ingredienti (l’importanza del jazz nell’equazione diminuisce un po’) evidenzi la volontà di raggiungere un successo crossover che farà forse storcere il naso ai puristi: a tratti sembra di ascoltare un disco R&B che punta ad atmosfere più rilassanti e meno danzerecce grazie all’innesto di qualche sfumatura jazz, ma questo, nonostante un ovvio calo di personalità, non è di certo il problema peggiore. (Continua a leggere)