FREE FALL JAZZ

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12° e ultima serata organizzata dall’Associazione JAZZ@MILANO alle
Officine Creative Ansaldo, Spazio Palco, via Tortona 54, Milano.
INGRESSO LIBERO

Ultimo appuntamento per gli appassionati di Jazz, Latin e Fusion, ultima delle 12 occasioni di incontro tra pubblico e musicisti realizzate dal gennaio di quest’anno, la serata comporterà performance live ad oltranza, fino a quando ci saranno musicisti con la voglia e la forza di suonare.

Il programma della serata alternerà momenti di jam estemporanee tra i musicisti presenti sul posto (con un software innovativo) e brani di gruppi strutturati. A disposizione dei musicisti per la jam session ci sarà un palco attrezzato con pianoforte, batteria, amplificatori per basso e chitarra, microfoni per i fiati, banco di regia e tecnico del suono. (Continua a leggere)

L’anno era il 1995. Forse l’ultimo della stagione d’oro della cosiddetta eurodance, che di lì a poco avrebbe sparato i fuochi conclusivi. In mezzo a tante canzoni che impazzavano tra radio, TV e discoteche ce n’era una in particolare che si distingueva dalle altre, e non c’è bisogno di chissà quale memoria per ricordarla. Non la cantavano ragazze dalla voce squillante né qualche nerboruto rapper: l’insolito interprete era un signore sulla cinquantina dall’aria simpatica, riconoscibilissimo per la Fedora alla Tom Landry sempre incollata sul cranio e il baffo pronunciato modello birra Moretti. Su quella base fatta su misura per le piste da ballo dell’epoca, costui si esibiva in attorciglianti scioglilingua in stile scat, e infatti si presentava con un nome che era tutto un programma: Scatman John. I milioni li fece con un ritornello martellante che per tutti era una cosa tipo bi bo bo bo bobò (scopro solo oggi che, a quanto pare, diceva ski ba bop ba dop dop. Potenza dell’internet), completato da un testo motivational (“Don’t let nothin’ hold you back / If the Scatman can do it so can you”) che spiegava come quel tipo di cantato jazz avesse aiutato lui, balbuziente, ad accettare quel difetto di pronuncia che per anni l’aveva condizionato, spingendolo persino a un passo dal baratro: “Avevo così tanta vergogna della mia balbuzie che per anni mi sono quasi ucciso con alcool e droghe”, rivelava in un’intervista. (Continua a leggere)

Qualcuno forse ricorderà The Apples per una versione di ‘Killing In The Name’ dei RATM in grado di resuscitare i morti, ma sarebbe ingiusto confinarli solo a quello: la proposta del collettivo di Tel Aviv (!) andrebbe di certo annoverata tra le cose più coinvolgenti ascoltate nell’ultima decade.

Le radici musicali affondano nel più vigoroso funk jazz anni ’70: basta lasciar partire il disco e ‘Preserve’ lo dimostra, trascinandoci (a scelta) in un rocambolesco inseguimento di Starsky & Hutch o in un temibile faccia a faccia con Maurizio Merli che ci rincorre verso la funicolare incazzato, ma con lo sguardo impassibile. Loro, invece, di stare fermi non ne vogliono sapere, ed è proprio questa la chiave: è musica fisica, impossibile restare inermi senza accompagnarla neanche col semplice battito di un piedino. Il tutto ovviamente viene rinfrescato quanto basta con loop e scratching tanto al chilo, ma, soprattutto, con una scelta di suoni (loud, direbbero gli americani) che non lascia prigionieri: resta grande la curiosità di vederli dal vivo, potenzialmente una forza della natura. (Continua a leggere)