FREE FALL JAZZ

al dolce suono di tazze e cucchiaini mangiava trombe tromboni e clarini's Articles

Fa caldo. Fa molto caldo. Di più: mentre scrivo queste righe mi sembra di vivere in un loop continuo i primi 5 minuti di ‘Weekend Con Il Morto’, con Andrew McCarthy e quell’altro che letteralmente si squagliano sotto i colpi di un’estate newyorkese con tassi di umidità da strozzinaggio. Il ventilatore alle mie spalle soffia ormai aria calda, e il mio unico desiderio sarebbe accendere la TV sulle previsioni del tempo e sperare che annuncino l’imminente arrivo del diluvio universale. O anche solo di una grandinata a pallettoni.

Il tutto ci porta indirettamente alla storia che stiamo per raccontare. (Continua a leggere)

Marc Rossi oggi insegna al Berklee. I più attenti forse lo conosceranno per le sue incisioni da leader col Marc Rossi Group o per i sei anni di militanza come pianista della Living Time Orchestra di George Russell verso la fine degli ’80. Non molti sanno però che sulle spalle ha un peccato bello grosso da farsi perdonare. Nei primi anni ’80, durante i suoi studi al conservatorio del New England, fu infatti lui a passare una cassetta dei Weather Report a uno dei suoi insegnanti: Jimmy Giuffre.

Giuffre, dopo il fallimento commerciale del fenomenale trio con Steve Swallow e Paul Bley, aveva mantenuto un profilo piuttosto basso nei ’60 e nei ’70, pubblicando una manciata di dischi, ma dedicandosi soprattutto all’attività di insegnamento. Galeotta fu quella cassetta dei Weather Report: l’autore di ‘Free Fall’ si sentì stimolato al punto da mettere insieme un gruppo per elaborare la sua visione di quella musica. In particolare, ad attirare la sua attenzione era il ruolo del basso elettrico (in sostituzione del “vecchio” contrabbasso), presto affidato al giovane Bob Nieske, anch’egli studente del New England Conservatory; lo stesso Rossi si occupava inizialmente di piano e tastiere prima di essere sostituito da Pete Levin, con il percussionista Randy Kaye a completare il quadrilatero. Il sodalizio fruttò tre dischi per l’italiana Soul Note, attentissima nonostante il nome di Giuffre in quegli anni fosse tutt’altro che “di tendenza”. (Continua a leggere)

A pochi mesi dalla conferma dell’emissione dell’ormai famoso francobollo (in arrivo a Giugno), un’altra celebrazione postuma è in procinto di arrivare per Miles Davis. Sarà forse l’avvicinarsi del compleanno (26 Maggio, tenete a mente la data), chissà, ma il sindaco di Alton, Illinois, città Natale del celeberrimo musicista, ha appena annunciato l’intenzione di erigere una statua raffigurante proprio l’autore di ‘Kind Of Blue’. Non si tratta della prima iniziativa del genere: sculture di Davis sono già presenti a Kielce (in Polonia) e presso il Negresco Hotel di Nizza (Francia).

Per tutti i dettagli riportiamo qui di seguito la traduzione di un articolo di Kathie Bassett tratto dal Telegraph, quotidiano locale dell’Illinois. L’originale è visibile qui.

 

GODFREY – L’impegno di produrre una statua raffigurante il grande jazzista Miles Davis, nativo di Alton, è stato annunciato sabato sera durante l’edizione 2012 del Miles Davis Jazz Festival.

Il sindaco di Alton, Tom Hoechst, ha svelato infatti i piani per erigere una statua a grandezza naturale nel centro della citta, precisamente nel cuore dell’entertainment district. (Continua a leggere)

Passato più o meno recente per il Picture This di questa settimana: andiamo a ripescare un’esibizione di Donald Byrd presso l’Education Humanities Theatre della Delaware State University. Il brano è ‘Fly Little Bird Fly’, dal classico ‘Mustang!’ del 1966. Attorno al trombettista, un manipolo di ottimi musicisti: dal veterano Joe Chambers alla batteria (già con Byrd negli anni ’60) all’esperto bassista Ira Coleman, fino agli ottimi “giovani” Eric Reed (piano) e Vincent Herring (sax). Roba buona.

Altro disco molto interessante uscito negli ultimi mesi è ‘The Story This Time’, debutto di Jason Stein con il suo quartetto dopo un’intensa gavetta in vari progetti del sottobosco jazz di Chicago. Più volte ho sentito in giro paragoni con Rob Mazurek, suggestione dovuta forse più alla provenienza comune che altro (per quanto Stein sia in realtà originario di Long Island): alcuni punti di contatto tra gli stili dei due ci sono senza dubbio, ma l’equazione di Stein tende a un jazz meno ostinato nella ricerca della sperimentazione. Lo strumento suonato dal nostro, il clarinetto basso, rimanda ovviamente a Eric Dolphy, ed è proprio ‘Out To Lunch’ il disco a cui fare riferimento come punto di partenza, con un occhio anche all’Ornette Coleman degli esordi, nello specifico le sue cose meno radicali (ma non solo, a ben vedere). In effetti, ‘The Story This Time’ procede su due direzioni ben distinte, che però preferiscono lambirsi e intrecciarsi piuttosto che restare parallele, in un avvincente botta e risposta tra avanguardie e robusto post bop, di quello più straight ahead che fila come un treno. (Continua a leggere)