Se n’è andato pure Muhal Richard Abrams, musicista dalla carriera singolare ma dall’incredibile coerenza di fondo. Nato nel jazz come pianista per nomi come Clark Terry, Dexter Gordon, Woody Shaw e la cantante r&b Ruth Brown, ha sviluppato interesse per la composizione studiando la musica di Duke Ellington e Fletcher Henderson. (Continua a leggere)
Oggi affrontiamo un tema tabù, relativo ad un musicista-totem per molti improvvisatori delle avanguardie europee, da loro molto stimato, ma che a mio modo di vedere (e non solo, come vedremo più sotto)  non è propriamente considerabile un jazzista. Il che può significare poco o nulla. Si può essere dei grandi musicisti e compositori senza essere dei jazzisti, l’importante è non far confusione, come invece regolarmente accade e per ragioni non sempre chiarissime. (Continua a leggere)
‘Conversations I’ parte e per un po’ non succede molto: solito free jazz sghembo, qualche strombazzata qui e lì, giusto un’altra tacca da aggiungere alla discografia di Roscoe Mitchell. Poi dopo 3 minuti i nostri partono per la tangente e ‘Knock’N'Roll’, questo il titolo della prima traccia, si trasforma in una specie di cataclisma: un muro del suono impressionante e gratuitamente violento che, a conti fatti, resta quasi l’unica cosa da ricordare. Non che siano i primi a tentare la carta dell’impatto, anzi, ma impressiona come in tre siano in grado di fare casino per trenta.
Per il resto il disco scorre via tra alti e bassi lasciando poche tracce: il sax di Mitchell preferisce mantenersi su atmosfere calme, giocando, come suo solito, con gli spazi, ma i risultati non incidono (i 15 soporiferi minuti di ‘Distant Radio Transmission’ sono qualcosa di insostenibile). (Continua a leggere)
Il gruppo People Places & Things è solo uno dei progetti dell’iperattivo batterista Mike Reed. Con una formazione stabile che vede, oltre al leader, due sax (il contralto di Greg Ward e il tenore di Tim Haldeman) e contrabbasso (Jason Roebke), i PP&T hanno dedicato tre dischi all’esplorazione dell’eredità jazzistica della loro città , passando dalla rilettura di brani poco noti dell’era hard bop tratti dai repertori di Wilbur Ware, John Gilmore e altri ancora del primo capitolo, alla collaborazione con musicisti contemporanei di Chicago del secondo, fino alla celebrazione live del terzo. Esperienza conclusa, verrebbe da pensare. E invece no, riecco Mike Reed con il quarto capitolo della serie. Il materiale è in massima parte originale, sei brani su otto portano la firma di Reed, più ‘Old’ di Roscoe Mitchell e ‘Sharon’ di John Jenkins, mentre le coordinate sono un po’ le stesse di prima, un quartetto dal suono blues, molto swingante e arioso. L’iniziale ‘The Lady Has A Bomb’ viaggia su ritmi spediti ed elastici su cui i sax si intrecciano in frasi profondamente blues. (Continua a leggere)