FREE FALL JAZZ

Nella seconda metà degli anni ’50 le orchestre jazz sono una specie in via di estinzione, a causa degli alti cosi di mantenimento. Duke Ellington, forse l’unico, riesce a superare la crisi senza dover mai sciogliere la sua big band, mentre gli altri non furono così fortunati. Nemmeno Dizzy Gillespie, uno dei volti più noti e amati del jazz, innovatore tanto del linguaggio trombettistico come di quello orchestrale, e grande comunicatore. In attesa di momenti più propizi, Dizzy pensa ad una formazione estesa e chiama due dei più talentuosi compositori e arrangiatori per piccoli ensemble: Benny Golson e Gigi Gryce. Con altri due fiati (il baritono di Pee Wee Moore e il trombone di Henry Coker), una sezione ritmica swingante e compatta (Ray Bryant al piano, Tommy Bryant al basso e Charlie Persip alla batteria) e un repertorio di brani originali scritti dai due sassofonisti, l’ottetto dà vita ad una nuvola di suono vellutato, non dissimile dai coevi esperimenti di Gryce con Art Farmer e Donald Byrd. Pure l’ombra delle tessiture lievi e stratificate del ‘Birth Of The Cool’ di Miles Davis è presente sullo sfondo. Da notare come il ritmo, mediamente, non sia mai troppo elevato, né Dizzy particolarmente esplosivo: con sordina o tromba aperta, in brani fantastici come ‘Blues After Dark’, la latineggiante ‘Seabreeze’ e la pulsante ‘Just By Myself’, dal lieve e distaccato lirismo, il trombettista punta innanzitutto sull’espressività e la sensibilità. Il suo virtuosismo strumentale c’è tutto, ma enfatizza più che mai l’atmosfera del brano a scapito di quell’istrionismo giocoso e mordace che di solito ci si aspetta da lui.

La più grande tromba di tutte… Ok, può essere un titolo pomposo. Ma Dizzy Gillespie, da che mondo è mondo, è uno dei verosimili contendenti al trono, e certamente un punto fermo nell’evoluzione dello strumento e della musica. Questo splendido album lo conferma.
(Negrodeath)

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