L’ispirazione dietro ai vari brani di ‘Places’ sono i posti, per l’appunto, visitati da Jason Palmer durante i suoi numerosi viaggi da musicista. Col suo sestetto newyorkese, che comprende i sax di Godwin Louis e Mark Turner, la chitarra di Mike Moreno, il contrabbasso di Edward Perez e la batteria di Kendrick Scott, Palmer trova compagni fidati capaci di dare vita nel modo migliore alle sue elaborate composizioni che portano avanti il post-bop evoluto di Booker Little, Freddie Hubbard, Wayne Shorter. Naturalmente sarebbe stato facile, o quantomeno banale, fare di ‘Berlin’ un’improvvisazione su un tema da Oktoberfest, o ‘Falling In (For Guimaraes)’ una rivisitazione jazzistica del fado; i vari episodi di ‘Places’, invece, alludono a caratteristiche “sonore” dei vari posti in maniera obliqua e astratta. Accade così che la succitata ‘Falling In’ , aperta da un fantastico duo tromba-batteria, accenni alla musica portoghese negli unisoni dei fiati e nell’accompagnamento soffice e luminoso della chitarra, mentre per il resto è un brano tortuoso e multisezione ispirato da Shorter. In ‘Rising Sign (For Paris)’ l’improvvisazione della frontline si fa collettiva attorno all’iterazione di un primo tema, per poi lasciare spazio al trio ritmico e ad un secondo tema, con Palmer in finale spalleggiato dai soli sax. Le due parti di ‘American Deceptionalism’ vedono intricate linee di fiati sovrapposte nella prima e un acrobatico Palmer fare il leone nella seconda; fra di esse è incastonata la composita danza latina di ‘Spirit Song (For Rozzy)’, in cui l’energia aumenta progressivamente lungo l’avventuroso solo del leader, seguito dall’evanescente chitarra di Moreno e da un Turner impegnato a costruire un assolo da una serie di frasi spezzettate.
Nuovo centro per Jason Palmer e per la sua musica intrigante, cerebrale, sinuosa, in bilico fra momenti raccolti ed altri più energici e ricchi di groove e tinte funk, con un sound sempre arioso e aperto. Fra i dischi dell’anno.
(Negrodeath)