FREE FALL JAZZ

Il vulcanico batterista Gerald Cleaver non è un tipo da starsene fermo troppo a lungo, e difatti eccolo qui con una nuovissima band che parte dal jazz per poi spingersi in altre direzioni. Black Host è il nome del suo nuovo collettivo, un quintetto di cui fanno parte Darius Jones (contralto), Brandon Seabrook (chitarra), Cooper-Moore (piano e synth) e Pascal Niggenkemper (contrabbasso) in cui convivono diverse anime: oltre al jazz infatti trovano posto math-rock, noise, psichedelia ed elettronica che si combinano in una serie di lunghi brani, per  settantasette minuti di musica spigolosa e imperscrutabile. Ogni pezzo è stato scritto da Cleaver, che però lascia ampio spazio ai suoi compagni per esprimersi ed interagire secondo modalità non sempre chiare nè evidenti. A volte è un groove inesorabile a trascinare il pezzo, come nelle lunghe ‘Hover’ e ‘Ayler Children’, o la più concisa ‘Test-Sunday’: basso e batteria innescano un moto trascinante su cui sax, chitarra e piano elaborano le proprie trame, a volte in simbiosi, altre in maniera indipendente. Cooper-Moore spezzetta lick blues e jazz in chiave minimalista e percussiva, sulle orme di Cecil Taylor e Matthew Shipp, mentre Seabrook alterna riff abrasivi con esplorazioni solistiche degne di Nels Cline, mentre spetta a Darius Jones il compito di creare e dissolvere appigli melodici. Altri brani fanno leva sulla variazione di un tessuto timbrico, come ‘Citizen Rose’ o ‘Amsterdam/Frames’, il primo dominato dalle tastiere oniriche, il secondo dai rugginosi accordi della chitarra: in entrambi i casi, il lento processo di erosione e variazione del suono sembra quasi rifarsi a Morton Feldman. E ‘Gromek’ forse riesce ad unire le due tendenze del disco, con progressivi droni di sax e chitarra su una turbolenta marea di drumming che mima pattern tipici della musica elettronica. E’ una specie di moloch psichedelico di intensità crescente che potrebbe addirittura ricordare i Neurosis (ci fosse qualche appassionato di metal/hc in ascolto).

Avventurosi ed estremi, i Black Host non sono esattamente un gruppo per tutti. Sono jazz solo in parte e di sicuro ai puristi faranno ribrezzo. Per gli ascoltatori più curiosi e interessati a nuove prassi della musica improvvisata, tuttavia, si tratta di un ascolto stimolante e ricco di spunti.
(Negrodeath)

Comments are closed.