FREE FALL JAZZ


Il Record Store Day è passato anche quest’anno e sul suo conto se ne sono sentite in abbondanza. Questo lunedì festivo tuttavia allunga il weekend quel tanto che basta per permetterci di aggiungere ancora qualcosa sull’argomento. Sperando non ne abbiate le tasche piene, ovviamente.

Vorrei partire dalla fine: il negozio di dischi è ormai obsoleto sentenziava il socio Negrodeath alla fine della sua analisi. Un’osservazione vera soltanto in parte, visto che secondo me i paletti non sono così rigidi e una “convivenza” tra negozi reali e virtuali un senso ce l’avrebbe anche. Fondamentalmente dipende da che tipo di dischi cerchiamo, ma andiamo con ordine.

Che la grande distribuzione online abbia inferto un colpo brutale ai punti vendita al dettaglio è innegabile: se n’è già parlato in quel post, ma vale la pena ribadire che Amazon & co. sul nuovo (inteso soprattutto come novità, ma anche come catalogo, con dischi in offerta a 5 euro e altrove venduti a 10) non si battono.

Quando la differenza è solo di un paio d’euro sono favorisco con piacere il mio negoziante di fiducia, ma non ne faccio un discorso etico: quelli di Amazon forse saranno brutti e cattivi, magari nei loro magazzini sotterranei, umidi e polverosi, sfrutteranno il lavoro di scimpanzé, bambini vietnamiti e donne in dolce attesa, ma non ho il portafogli abbastanza gonfio da potermi mettere a fare l’idealista. Certo, potrei spendere le stesse cifre per comprare meno musica, ma, mettendo un attimo da parte il discorso etico, perché dovrei, visto che qualitativamente non c’è differenza? Non è come paragonare un paio di Ray Ban al più economico corrispettivo cinese: i dischi che ci recapita Amazon (o chi per lui) sono esattamente gli stessi che, in alcuni casi, pagheremmo fino a 7 o 8 euro in più in negozio. Una maggiorazione se vogliamo anche giustificata: i canoni di locazione sono sempre più alti, per non parlare di balzelli vari e contributi INPS più salati di un barattolo di acciughe. Soldi che da qualche parte devono pur uscire, altrimenti le saracinesche si abbassano, appunto, per sempre. Una maggiorazione che però a noi consumatori di musica, in termini concreti, offre poco (giusto l’acquisto immediato, ma ormai Amazon spedisce in tempi così fulminei che il discorso non ha più molto senso).

E allora perché, nonostante tutto quel che abbiamo appena elencato, il negozio di dischi non è ancora del tutto obsoleto per qualcuno? Domanda più che lecita. Non andrò a scomodare madeleines e nostalgie canaglie: spulciare ed emozionarsi trovando dischi inaspettati è un ineguagliabile piacere aggiuntivo quando c’è, ma di certo non una necessità primaria, la quale è e resta la musica. E no, non è neanche il servizio offerto, visto che nella maggior parte dei casi i negozi ormai puntano solo sui “cavalli sicuri” a prescindere dalla qualità. E c’è da capirli, visto che il materiale invenduto gli resta sul groppone (e comunque il suddetto metodo spesso non è nemmeno un “paracadute” sufficiente).

Qualcuno ancora oggi si ostina a offrire competenza e qualità, ma sono pregi che hanno un peso notevole. Un negozio di Roma ne è l’esempio lampante: non ne faccio il nome, ma quando dico che pratica prezzi da borsa nera gli avventori capiranno a chi mi riferisco. Si tratta di un punto vendita specializzato in alcuni generi di musica non propriamente mainstream: qualunque titolo di sua competenza possiate immaginare, anche recentissimo, lui ce l’ha. Prezzato magari come un collier, ma ce l’ha lì a disposizione, subito. Considerando che l’alternativa sarebbe ordinare lo stesso titolo su internet da un rivenditore specializzato estero (con  tempi di attesa non sempre brevi e spese di spedizione da aggiungere), gli euro di differenza in questo caso andrebbero a pagare qualcosa “anche a nostro favore” anziché servire solo a coprire le ingenti spese del negoziante. E questo tipo di settorialità, seppur limitato ormai a una sparuta minoranza,  è uno dei motivi in grado di dare ancora un senso a un negozio di dischi.

Un altro motivo, che personalmente mi riguarda ben più da vicino, è quello dell’usato, visto che il 90% dei CD che ho in casa li ho acquistati così. Ormai su Amazon i dischi costano talmente poco che la differenza tra un usato in negozio e un nuovo online su certe cose è labile al punto che il nuovo spesso si lascia preferire. Io però tra l’usato vado soprattutto per scoprire cose vecchie e cadute nel dimenticatoio, dischi magari mai ristampati oppure anche prime stampe di titoli ancora disponibili in versione rimasterizzata (un remaster fatto bene può esaltare un album come poco altro, certo, ma sempre più spesso stanno arrivando ristampe con un lavoro di rimasterizzazione da codice penale: il suono ipercompresso e sempre sulla soglia della distorsione tipico della cosiddetta loudness war. E dà fastidio persino a me, che sono tutt’altro che un audiofilo cultore del bel suono). Per queste cose non c’è online che tenga: la maggior parte dei negozi punta sulla quantità, acquista e rivende usato a prezzi in media molto bassi (tra i 4 e gli 8 euro dalle mie parti), sono pochi quelli che spendono tempo a documentarsi sul grado di rarità di un disco per prezzarlo di conseguenza.

Limitandomi ai generi di musica trattati su queste pagine, prendo come esempio tre dischi trovati nell’usato a prezzo irrisorio: ‘Bolivia’ di Freddie Hubbard, ‘The African-American Epic Suite’ di Yusuf Lateef e ‘The King And I’ di Wilbur Harden e Tommy Flanagan. Rintracciarli singolarmente online ci porterebbe a pagarli un prezzo sicuramente più vicino al loro vero valore, ma anche se fossimo abbastanza fortunati da trovarli a cifre ragionevoli dovremmo comunque pagare tre spese di spedizione a tre venditori diversi. Può andar bene quando cerchiamo un disco in particolare, ma valutare di volta in volta le occasioni che il nostro reparto dell’usato preferito ci offre (se abbiamo la fortuna di averne uno vicino casa) può dare tanta soddisfazione.

Se il Record Store Day, oltre a piccole speculazioni e a pose da hipster, è utile a prolungare anche di un solo giorno la vita dei negozi superstiti, allora, per quanto non ne condivida tutti gli aspetti, non me ne sentirete mai parlare male. Poi la pacchia inevitabilmente un giorno finirà e finiremo col raschiare il barile dei mercatini delle pulci o chissà che altro, ma almeno nel frattempo ci saremo divertiti. (Nico Toscani)

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