FREE FALL JAZZ

A me garbano i negozi di dischi. Dico sul serio. Quando vado in una città, li cerco e mi piace proprio infilarmici, cercare/comprare le robe, etc etc. Soprattutto se sono negozi dedicati alla roba che mi garba, oppure in cui a tale roba sono dedicati ampi reparti. Non sono schizzinoso, va bene anche il repartone da Mondadori o Ricordi o FNAC che sia. Credo che questo tipo di passione per il negozio di dischi sia connaturata a quella per la musica. E che non ci sia niente di male, al pari di altri piaceri come il velocipede, l’auto d’epoca, o addirittura le rievocazioni storiche in armatura e spada. Si tratta di tenere in vita un passato ormai finito, per pura passione, assieme ad altri appassionati. La passione è la chiave, ovviamente: da un profilo strettamente razionale, un’auto moderna è più economica, sicura e facile da guidare rispetto all’Aston Martin del 1946, però se ce l’hai e ti piace, padronissimo di andarci in giro finché la puoi mantenere in sesto. Queste considerazioni di sconcertante banalità, per qualche astruso motivo, non sfiorano manco per il cazzo una nutrita frangia di ascoltatori di musica che provocano schifo all’idea di comprare online e che piangono lagrime amare et gopiose ogni volta che un negozio di dischi chiude. E sono una gran rottura di coglioni e fonte di sbroccate moralistiche mica da niente, eh. Guardate questo thread (iniziato nel 2009, ad oggi cento pagine) sul forum del Mucchio Selvaggio, veneranda e (parere personale) pessima rivista musicale italiana. Il post che dà l’avvio è un chiaro esempio di una mentalità retriva e antiquata che non vuole saperne di scendere a patti con la realtà, sostenuta dalle stampelle dell’elitismo e della nostalgia canaglia. Dice:

“il negozio di dischi sta diventando superfluo come concetto proprio. e questo, al di là degli inevitabili sentimentalismi e cazzate da vecchio dentro terrorizzato dai cambiamenti quale sono, non riesco proprio a vederlo come una cosa positiva. da Nannucci ho passato più ore della mia vita di quanto fosse ragionevolmente lecito ipotizzare, lì ho comprato il mio primo disco (“fear of the dark” degli iron maiden, appena uscito: era il giugno del 1992), lì mi fermavo dopo la scuola a ravanare con la tenacia e il puntiglio dell’archivista tra le vaschette dei “fondi di magazzino” in cerca di “chicche” nascoste e offerte irripetibili (dai vinili della Contempo a 1.950 lire, a “skyscraper” di david lee roth a 1.500 lire, agli stock di forati con dischi tipo “songs of faith and devotion”, “without a sound” o la raccolta di b-side dei mudhoney che ti tiravano dietro a prezzi ancora oggi imbarazzanti), ma non importa.”

L’abbiamo fatto tutti, tutti noi appassionati di musica. Se capita l’occasione lo faccio ancora, ma non è un bisogno. Perché la cosa importante, per un appassionato di musica, è l’accesso alla medesima. Queste madeleine sono buone per pulircisi le croste di guano dalle ascelle. Anch’io se ci penso dico “ah, che teNpi”, pensando ai pomeriggi al negozio di dischi specializzato in metal della mia città a discorrere con negoziante e gente. Allo stesso tempo, è tutto finito, ed è cambianto in meglio. Il tizio del post sul Mucchio va avanti e aggiunge, ad un certo punto:

“perchè quello che molti ascoltatori dell’ultima ora e troppi stronzi che hanno adesso l’età che avevo io quando spulciavo tra quegli scaffali non possono capire (e probabilmente non capiranno mai), è che quando compri un disco in un negozio non paghi solo il disco, paghi anche il servizio che il negozio stesso ti offre, e questo vuol dire competenza, scelte di campo, guida all’acquisto, commessi totalmente ossessionati e nerd oltre ogni possibile speranza di redenzione,scrematura, quella stessa scrematura che il mucchio tenta faticosamente di operare tra le sue pagine, che io spesso non condivido ma che comunque c’è, esiste, mi fa sentire trattato con rispetto in quanto ascoltatore, mi fa pensare che la musica in quanto oggetto abbia ancora un valore.”

Non sono un ascoltatore dell’ultima ora e non so bene cosa pensino i sedicenni di ora, non frequentandoli non ho neppure la presunzione di liquidarli con questi giovani di merda che non capiscono un cazzo. Il servizio e la scrematura che può fornirti un negozio specializzato, vecchio, lo trovi pure online. E non ha alcun bisogno di spocchiosi negozianti miopi con la barba piena di parassiti: un buon algoritmo di apprendimento è perfettamente in grado di svolgere lo stesso compito. Quando mi arrivano i consigli di Amazon USA, dove ho uno storico di acquisti che comincia dal 1998, trovo regolarmente o cose che ho già (ma non ovviamente comprato da loro) oppure cose che mi possono interessare e non di rado prendo: vedi, il tuo negoziante è inutile anche da questo punto di vista! Amazon UK e Amazon DE sono meno precisi, nei loro consigli, perché lo storico degli ordini è molto inferiore, però se comprassi più spesso raggiungerebbe ovviamente la stessa efficienza. E per finire:

“ora io vorrei che tutti quegli stronzi che comprano a mani basse da playpuntocòm perchè “costa meno”, che ordinano i cd a paccate sui siti internet americani così risparmiano sul dollaro, io vorrei che tutta questa feccia del cazzo si rendesse conto di cosa si è persa e di cosa sta contribuendo a distruggere indirizzando i propri soldi nelle tasche di qualche colletto bianco oltremanica (o oltreoceano) che non sanno nemmeno che faccia abbia. trovare un disco che si cerca da tempo, rovistare tra gli scaffali, scambiare due chiacchiere col clerk ossessionato, Cristo santo, uscire di casa per cercare qualcosa che ti piace, andarsela a prendere. è questo che più di ogni altra cosa mi spaventa, nell’epoca del “tutto e subito”: che si perda la consapevolezza che gesti, che azioni del genere esistano. è questo che mi fa sentire come tommy lee jones in “non è un paese per vecchi”. non Nannucci che chiude, ma le cause che lo hanno portato a chiudere. pensare di essere rimasto l’ultimo stronzo che un disco lo cerca continuando ad avere a che fare con esseri umani.”

Oh, così saremmo feccia del cazzo. Il cretinetti sembra più interessato ai negozi che alla musica. Perché, caro cretinetti, se grazie ad Amazon, a Play etc. puoi comprare di più perché i prezzi sono più bassi, succede che… al musicista arrivano più soldi! Proprio così! A noi feccia del cazzo non interessa un cazzo del contatto umano col negoziante del cazzo: ci interessa la musica. Avere i dischi, ascoltarli, capirli. Comprarli, così che l’artista possa contare su del danaro, nella speranza che gli altri appassionati facciano uguale. I cretinetti del km zero discografico non ci arrivano. E’ più importante la consapevolezza dei gesti, rovistare fra gli scaffali, trovare un disco che si cercava da tempo (cosa che su web succede spesso).

Pensaci: vai sulla superfichissima comunità di ascoltatori di musica, ti scambi consigli, scopri artisti, robe, cose. Puoi correre su YouTube o sul sito ufficiale e farti un’idea di prima mano. Se ti convince, puoi subito volare su Amazon e similia e trovare quei bei dischi che ti hanno consigliato gli esperti della comunità virtuale che tanto ti piace frequentare, puoi comprare con tre clic e trovarti tutto nella cassetta della posta dopo una settimana. In pratica, hai davanti a te il modo migliore e più efficiente mai realizzato per accrescere la tua cultura musicale, e allo stesso tempo stai pagando il musico per il suo lavoro meglio di prima (per il semplice fatto che prezzi più bassi => più dischi venduti), e invece no, vade retro, si perde la consapevolezza dei gesti (mi viene da ridere ogni volta che lo scrivo) e si mandano i soldi a qualche colletto bianco mai visto né sentito!!!!11!!!uno!!! Ma si può essere più idioti?

Sospetto che a fianco di questo vecchiettismo ci sia una bella dose di elitismo. Ci sono persone che ascoltano la musica non solo per piacere personale ed interesse, ma anche per estremo bisogno di affermazione sociale. Sovraccaricano la musica di una dimensione etica e fanno miriadi di castelli in area prima di poter dire se tal disco/artista è ok o fa cagare iguana impagliati. La musica, per queste persone, serve per tracciare una linea: da un lato NOI, dall’altro LORO. E se la musica X piace a LORO, allora SequelaDiCastelliInAria è eticamente sbagliata e la critichiamo con violenza. In questa forma mentis, rientra anche l’acquisto al km zero nei cari vecchi negozi di una volta. Io, guarda un po’, ho sempre pensato che Nick Hornsby sia una merda e Alta Fedeltà un libro del cazzo.

Bah. Sia come sia, se a qualcuno piace andare in giro con una macchina del 1943, faccia pure. Solo non si metta a moralisteggiare perché noialtri preferiamo auto più sicure ed economiche e che a voler vedere inquinano pure un botto meno. Io continuerò ad accrescere la mia cultura musicale (ma lo stesso discorso si può fare paro paro coi libbbri) con Amazon, Play, CDWOW e compagnia bella, pulendomi allegramente il culo con la consapevolezza degli antichi gesti.  Ma c’è una via con cui un negozio dischi oggi, può vivere e prosperare, cioè internet e specializzazione. L’intervista che ho fatto ai tipi di JazzMessengers (Barcellona) rivela una success story notevolissima. Ma l’Italia è troppo provinciale per queste cose… minimo, il tizio del thread di Mucchio Selvaggio non comprerebbe mai da un negozio che vende molto su internet, perché sarebbe poco etico. In sostanza, ok, facciamo pure il Record Store Day, vantiamoci di comprare nei negozi di dischi come se questo fosse una certificazione di appartenenza all’elite dei Grandi Appassionati Di Musica. Spariamoci pure la posa, alla fine ci diverte anche. Il fatto è che, con tutto il bene, il negozio di dischi è ormai obsoleto Facciamocene una ragione.
(Negrodeath)

Comments are closed.