FREE FALL JAZZ

Se ‘Slanted’ fosse uscito da un sax qualunque, probabilmente le critiche, anche superficiali, non sarebbero mancate: scarsa originalità, poca inventiva, suoni datati… A Ron Holloway, però, che gli vuoi dire? Non che il nome in copertina cambi i contenuti, ma calato nel suo giusto contesto questo disco assume un’identità più che significativa: quella dell’emozionante atto d’amore. Già, perché Ron è cresciuto in una casa di Washintgon D.C. nutrendosi con passione della collezione di dischi di suo padre (40 anni di vinile immarcescibilmente affastellati e una smodata attrazione per le ance), una dedizione che lo ha portato ad imbracciare egli stesso un sax tenore e trascorrere intere giornate estive sigillato in casa cercando di emulare idoli vecchi e nuovi. ‘Slanted’ è il primo passo da leader dopo circa tre lustri di carriera assai variegata, che lo vedono passare con nonchalance dalla straripante miscela rock/funk/r&b del fattone Root Boy Slim a Gil Scott-Heron fino alla corte di Dizzy Gillespie, del cui ultimo quintetto sarà colonna portante. Prima di guardare avanti (cosa che gli riuscirà abbastanza bene con ‘Struttin’’, di due anni successivo), Ron sente il bisogno di dedicarsi, finalmente in libertà, al suono che ha sempre amato e che in precedenza ha potuto assaporare solo a sprazzi, per giunta da sideman. E dunque sfido ad ascoltare la title-track, uno dei tre originali in programma, senza scambiarla per uno standard meno conosciuto: tutto qui è orgogliosamente “vecchio”, a partire dalla scelta dei suoni, caldi e “pastosi” nonostante la registrazione dichiaratamente digitale. Il lavoro sugli standard è molto rispettoso, ma non per questo scolastico, anzi: la dirompente apertura con l’ellingtoniana ‘Caravan’ (una delle versioni più coinvolgenti che mi sia capitato d’ascoltare) è eloquente al riguardo, e fa il paio con le sfumature funk della ‘Freedom Jazz Dance’ di Eddie Harris. Per il resto domina un’atmosfera maggiormente levigata, tra blues, ballate e qualche spruzzatina swing, che trova la sua linea genealogica in Sonny Rollins come in Coleman Hawkins, nel primo Coltrane (un altro degli originali s’intitola, non a caso, ‘Shades Of Tyner’) come in Sonny Stitt; ma a ben vedere quello di Holloway è un omaggio che non si limita a una categoria di musicisti, quanto a un modo di intendere il jazz che ormai non c’è più. Si potrebbe obiettare che non si tratta (affatto) dell’unico musicista a rivolgere lo sguardo a certe epoche, tuttavia ‘Slanted’, per quanto poco noto, resta fondamentale nel rimarcare la differenza tra sentito tributo e mero revival. Fede e devozione. (Nico Toscani)

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