FREE FALL JAZZ

“Ascoltai quello che mi sembrava un sax tenore. Il chitarrista lo vedevo ma non lo sentivo, chiesi dove fosse. Poi mi resi conto che quel suono, quella specie di sassofono, usciva da uno spartano amplificatore attaccato a una chitarra. Era la cosa più stupefacente che avessi mai sentito. Mi ispirò così tanto, tutto ciò che volevo fare era imitarlo”.

Quel chitarrista era un Charlie Christian poco più che ventenne ricordato dalle parole di Mary Osborne, ragazza del North Dakota che quella sera del 1938 di anni ne aveva soltanto 17 e già da un po’ si cimentava con la chitarra, folgorata da Django Reinhardt. Proprio la comune passione per il chitarrista manouche si sarebbe rivelata base di una solida amicizia tra i due, con Christian che si trasformerà in una sorta di mentore per la ragazza, guidandola nell’acquisto della sua prima chitarra elettrica. Siamo in tempi assolutamente pionieristici: prima di loro due in ambito strettamente jazz l’unico ad aver già adottato un’innovazione di quel tipo era Eddie Durham con i Kansas City Six di Lester Young.

Per la Osborne, che di lì a poco si trasferirà a New York, è l’inizio di una carriera che raramente le riserverà grandi onori e riconoscimenti, poichè lascerà il centro del palco ad appannaggio di una lunga lista di grandi che spalleggerà (live, ma anche in studio) in maniera solidissima; da Coleman Hawkins a Clark Terry, da Dizzy Gillespie a Billie Holiday. Un tocco, il suo, che di sicuro tradisce l’influenza del maestro Charlie, ma non si ferma lì, sviluppando un approccio personale e “irruento” a tratti precursore del rock’n’roll anni ’50 (non a caso, la chitarra di Mary verrà sfruttata anche in session per alcuni dischi di rhythm’n’blues, dimostrandosi perfettamente versatile).

Al centro della scena (dopo una manciata di 78 giri registrati in trio alla fine degli anni ’40) Mary Osborne ci arriverà finalmente nel 1959. Merito del leggendario discografico Fred Mendelsohn, che le propone di incidere per la neonata Warwick Records offrendole quel che in precedenti negoziazioni mai era riuscita ad ottenere: completa libertà artistica, carta bianca su brani e musicisti. L’occasione viene sfruttata al meglio, chiamando a bordo un poker di navigati campioni come il pianista Tommy Flanagan (che qualche anno prima aveva lasciato il segno su un certo ‘Saxophone Colossus’ e di lì a poco avrebbe fatto capolino su ‘Giant Steps’ prima di stringere un fortunato sodalizio con Ella Fitzgerald), il chitarrista ritmico Danny Barker (nella backing band di Cab Calloway e in quella del pianista Charles Thompson; Dexter Gordon e Charlie Parker gli illustri compagni di ventura in quest’ultima) e la dinamica sezione ritmica formata dal bassista Tommy Potter (curriculum infinito dal quale citiamo giusto Charlie Parker, Sonny Stitt e Miles Davis) e Papa Jo Jones (Count Basie, Gene Ammons, ma anche ottimo leader).

Con premesse del genere ‘A Girl And Her Guitar’ non poteva che essere tanta roba e infatti così è, nonostante oggi sia caduto pressoché nell’oblio. Ed è un peccato, visto che si tratta di un piccolo classico del jazz chitarristico. A parte un ottimo originale dagli umori blues (‘Mary’s Goodbye Blues’, appunto), la scaletta pesca una serie di standard che entusiasmano sia quando approcciati con rigore e devozione, vedi ‘Body And Soul’, ma soprattutto quando vengono riportati a nuova vita. È il caso di ‘I Love Paris’ di Cole Porter, di certo non un pezzo a cui verrebbe da affibbiare l’aggettivo “travolgente”, eppure la versione di Mary e soci non lascia prigionieri: già solo il riff iniziale, scandito dai rimshot di Papa Jo Jones, vale più di mille parole al riguardo. Sugli stessi territori si muovono ‘I Found A New Baby’ (doveroso omaggio a Charlie Christian) e ‘How High The Moon’, che fa battere il piedino anche senza la voce di Ella Fitzgerald; il resto vira verso sponde più morbide, permettendo a quella chitarra “che suona come un sassofono” di colpire anche per lirismo.

Il peccato serio è che questi undici brani resteranno in pratica l’unico “vero” album da leader per Mary Osborne, che spenderà il resto della carriera in altre faccende affaccendata (sei anni a studiare chitarra classica, un trasloco in California, una compagnia che produce amplificatori fondata assieme al marito, docente universitaria) e ad incidere tornerà solo sporadicamente, accompagnando l’amica Marian McPartland sul live album ‘Now’s The Time’ del ’77 e infine il ritorno in proprio con ‘Now And Then’ (Stash Records, 1982), che unisce estratti di ‘A Girl And Her Guitar’ più una manciata di nuovi brani registrati in trio che resteranno l’ultimo lascito discografico. Un paio di acclamate apparizioni live nei primi anni ’90 (con Lionel Hampton al Playboy Jazz Festival e poi da leader al Village Vanguard di New York) saranno il colpo di coda prima di spegnersi dopo una lunga battaglia contro la leucemia il 4 Marzo del 1992.

‘A Girl And Her Guitar’ non è mai stato ristampato in CD. Copie del vinile originale sono ancora reperibili con relativa facilità, seppur a prezzi da usura riservati alle tasche dei più facoltosi (quali noi non siamo). I comuni mortali possono sopperire grazie ad Amazon, dove l’album è acquistabile almeno in formato digitale a prezzo abbordabilissimo. (Nico Toscani)

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