‘Conversations I’ parte e per un po’ non succede molto: solito free jazz sghembo, qualche strombazzata qui e lì, giusto un’altra tacca da aggiungere alla discografia di Roscoe Mitchell. Poi dopo 3 minuti i nostri partono per la tangente e ‘Knock’N'Roll’, questo il titolo della prima traccia, si trasforma in una specie di cataclisma: un muro del suono impressionante e gratuitamente violento che, a conti fatti, resta quasi l’unica cosa da ricordare. Non che siano i primi a tentare la carta dell’impatto, anzi, ma impressiona come in tre siano in grado di fare casino per trenta.
Per il resto il disco scorre via tra alti e bassi lasciando poche tracce: il sax di Mitchell preferisce mantenersi su atmosfere calme, giocando, come suo solito, con gli spazi, ma i risultati non incidono (i 15 soporiferi minuti di ‘Distant Radio Transmission’ sono qualcosa di insostenibile). Un po’ meglio quando provano a spingere sull’acceleratore: ‘Darse’ per esempio, senza scomodare i livelli di ferocia della opener, è un free jazz articolato che alza la media e segna una strada potenzialmente interessante da seguire (una seconda parte, ‘Conversations II’, è prevista per Aprile).
Le cose migliori arrivano dai due “gregari”, che poi tanto gregari non sono: fa piacere ascoltare il piano di Craig Taborn di nuovo in contesti “vivaci” dopo le sue esperienze in ECM, ma soprattutto è da apprezzare l’inventiva alle percussioni dello strambo Kikanju Baku, sempre fotografato a volto coperto. La sostanza alla fine non è tantissima, ma c’è a chi basterà. (Nico Toscani)