FREE FALL JAZZ

La biografia dei VelvEtnoJazz, gruppo nato su iniziativa del chitarrista Romeo Velluto, parte con una pretenziosità che certo non dispone al meglio. “Il presupposto”, si legge, “è di liberarsi dagli stretti canoni stilistici del jazz ’40 e ’50 e lasciarsi influenzare da ‘altro’”: come se dagli anni ’40 e ’50 fosse rimasto tutto uguale! Polemiche inutili a parte il quartetto, completato da Francesco Piras (tromba/flicorno), Vito Zeno (contrabbasso) e Stefano Lecchi (batteria), elabora un sound levigato e avvolgente che trae il proprio materiale tematico di partenza dal bacino mediterraneo. Non intendendomi di musica folk, non mi avventuro nell’elencazione di questo o quello stile per non sparare stupidaggini – è però evidente, soprattutto nelle escursioni di chitarra acustica e nei suoi intrecci col contrabbasso, il legame con la musica popolare che associamo al sud Italia o alla Grecia, a torto o a ragione. Quando la chitarra, in altri momenti, si fa elettrica e le atmosfere più fiabesche, vengono in mente pure le sonorità care al Pat Metheny più rurale e intimo. Le linee di tromba, sempre lisce e cantabili, fanno pensare ad un Paolo Fresu più dinamico, e suggellano in qualche modo l’identità italiana di questo tipo di sound. In effetti gli ammiratori del trombettista sardo non faranno fatica ad apprezzare ‘Quiete’ o ‘Primavera’, esempi da manuale di jazz ora raccolto ora più solare, ma sempre disteso, rilassato, con un attenta disposizione delle voci attorno ad una batteria ricca di colori secondo la grande lezione di Shelly Manne.

‘Non C’è 2 senza 5′ è un esempio ben riuscito di quel jazz “mediterraneo” che non scade per forza nella cartolina o in un ostentato melodismo da romanza.
(Negrodeath)

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