FREE FALL JAZZ

Che Youn Sun Nah ci piacesse ve lo abbiamo già detto qua. La cantante coreana è ora impegnata  in un tour mondiale con il suo ormai inseparable compagno nonché mio personale mito della chitarra: Ulf Wakenius. È infatti “colpa” di questo talentuoso chitarrista svedese e del suo album ‘Notes From The Heart’ (ACT, 2005 – omaggio a Keith Jarret) se son qui che vomito i miei deliri parlando di gièzz.

“Datemi il pandino e vi solleverò il mondo”, dice l’antico proverbio Waltellinese. Non sollevai il mondo, ma l’A4 destinazione Brescia sì. Il concerto iniziava alle 21.00 di martedì… “Esco alle 17.30 così vado tranquillo”. 8.43 coda in A1 taaaac… Ascoltando il disco di Nah e sostituendo le parole con delle bestemmie (devo dire un esperimento riuscito benissimo) mi divincolai dalla coda uscendo chissà dove facendo rally tra la campagna del bresciano. Pandino modalità “4×4 spacchiamo i culi”: ON. 8:49 Parcheggio e inizio a correre a caso verso una direzione che ritenni appropriata. Una coppia di signori mi chiede indicazioni per il teatro grande: “In fondo ai portici a sinistra”, la butto lì. In fondo ai portici a sinistra c’era l’entrata del Teatro con a fianco la biglietteria. 8:58 arrivo presso la biglietteria: “Ho prenotato il biglietto under 30” – “Documenti prego” – “Ma zincane! Ho 26 anni dai!”… Mi metto in fila tra i vari mormorii: “iu su… iun sun… chi!?!?!?! bah varda… ciao Armanda, anche te qui? Massì, varda, a caso proprio, non c’era niente alla tele”. Va beh… 21:02 Prendo posto in quinta fila al centro nella platea del bellissimo Teatro Grande di Brescia. Leggo “riservato” – “Chisseneincula” rispondo. 21:03 inizio concerto.

Entra Ulf, vestito di nero, col suo cappellino New Era degli Yankees. Si siede, accorda la sua acustica e inizia in solo con un tributo a Esbjorn Svensson, una cosa che fa sempre… ‘Love Is Real’, ‘Dodge The Dodo’ e ‘When God Created Coffee Break’. Si sente bisbigliare “però bravo questo”. Finito questo siparietto iniziale, la platea ricambia con un frettoloso applauso. Ulf annuncia finalmente Youn Sun Nah.

Ora, sinceramente, io non sono un fanatico del vocal Jazz by ACT e nemmeno in generale. Anzi… giusto per citare un illustre esponente della compagine circense di FFJ, “tende a frantumarmi l‘interno dei coglioni”. Ma Youn Sun Nah incanta. O meglio canta. Cioè, non canta suona. Cioè suona cantando. Insomma, suona le sue corde vocali esattamente come Ulf suona la sua chitarra, Wollny il suo piano o Landgren il suo trombone. Una voce sincera, potente e fragile, bassa e alta, onesta, rurale. Mentre tutti spalancano gli occhi per cercare ingenuamente di capire il come io apro bene le orecchie per gustarmi il cosa.

La tecnica del duo è stupefacente nel repertorio dell’ultimo disco di Nah, Lento (ACT, 2013) e in qualche pezzo di ‘Same Girl’ (ACT, 2010). Una collaborazione che è ormai una fusione, saldata insieme da molti mesi di tour mondiale, e si vede. O meglio, si sente. La cosa che più mi ha stupito è la fedeltà con cui Nah si propone dal vivo, non dico che sembra di sentire il disco ma quasi, forse meglio. Nel difficile pezzo ‘Breakfast in Baghdad’, velocissimo con salti tonali che sono la north face dell’Eiger, composto da Wakenius e introdotto al pubblico da Nah con “Ulf forgot that I should breath sometimes…”, non mi sarei mai aspettato un’esecuzione così fedele e straordinaria.

Ulf, che in questa serata e in tutto il tour è un po’ il “side man” della formidabile cantante (non presente sui poster dell’evento e a stento nominato), dimostra invece di tenere il palco al pari e, alfine, osannato uguale. E per la sua bravura e per al sua simpatia. Giochi da saltimbanchi con la chitarra, che sì, molto performativi, ma poco “musicali” lo rendono subito beniamino della folla (vedi tapping con bottiglia vuota, power slide con bicchieri etc etc…).

Nah è dolcissima, ad ogni pezzo, sempre seguito da un grande applauso ringrazia tutti con un timido e sincero “grazie mille”. Qualcuno in prima fila le lancia delle rose. L’atmosfera è caldissima nella cornice dello stupendo Teatro Grande di Brescia. Un po’ di malinconia, un po’ di blues, una ballata Coreana e una fanfara, non manca niente. Bis, standing ovation, tris, rullate di piedi, quatris e tutti a casa. (Martino A.L. Spreafico)

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