Che bello il venerdì. Il venerdì è la fine della settimana e questo basta a renderlo un giorno speciale. Ma quel venerdì doveva essere ancora più speciale. Al conservatorio di Novara, era in programma un live del Trio di Vijay Iyer. A Novara, a 20 minuti di pandino; non in una lontana Nürgenbrigensbrunzhen a caso nel punto più remoto della Germania da casa mia. A Novara. Già mi vedevo, pieno di Bagna cà uda, trasudante aglio e bello avvinazzato di un buon rosso delle Langhe a gustarmi il concerto di uno dei più estrosi e abili pianisti in circolazione.
E invece no: “Purtroppo a causa di uno sciopero dei trasporti aerei il Vijay Iyer Trio è bloccato a Bucarest e non riuscirà ad atterrare in tempo per la performance a Novara. Il concerto previsto per stasera all’Auditorium Cantelli è pertanto annullato. Serena, conservatorio di Novara”… Finii di bestemmiare dopo due ore. Vomitato addosso al prete mi slegai dal letto benedetto e scesi in garage gattonando all’indietro. Il pandino già mi aspettava scalpitando. Partii a fuoco. Arrivato al confine Slavo mi calmai. Decisi che l’operazione “Vai a prendere Vijay a Bucarest e portalo a Novara” doveva finire lì. Ripresi coscienza a poco a poco e appresi che di lì a due giorni avrebbe suonato al Bar Borsa di Vicenza.
Partii dunque la domenica pomeriggio. Pioveva e c’era nebbia. Duecentonovantatrechilometri. Arrivai in Piazza dei Signori 26 giusto in tempo per gustarmi un hamburger e una media di birra tostata. Molto bene. Il Bar Borsa è ubicato in pieno centro a Vicenza, sotto le stupende arcate della Basilica Palladina. Tavolini fuori, ben frequentato, storicamente arredato, modernamente gestito. Presi il biglietto ed entrai: “Ah ma tu sei quello che ha chiamato oggi dalla Waltellina! Ostréga!” Feci così conoscenza con alcuni ragazzi del tanto gentile e laborioso staff, che mi assicurarono un’ottima postazione appena dietro i tavolini prenotati. Presi un prosechìn d’obbligo e attesi l’inizio del concerto…
Iyer (piano), Crump (contrabbasso) e Gilmore (batteria) entrarono dalla porta d’ingresso come normali avventori. Un pubblico preparato riconobbe subito il pianista statunitense e il suo team accogliendolo con un timido, riverente applauso. Dopo un’ossequiosa ed emozionata presentazione dell’organizzatore, Vijay lancia un cenno ai suoi e inizia. Un lento, viscerale preludio. Dieci minuti tutti in cui il trio si distende, sale, e poi giù ancora con un colpo di Crash che manco il martello di Thor. Il ritmo è fortemente cadenzato… un martello che batte, che batte forte sempre più forte e sale e sale ancora fino ad eruttare in un’esplosione più armonica e distesa ma sempre decisa, tribale, antica. I colpi di Gilmore sono schiaffi, bastonate che ti scaraventano da una dimensione all’altra del cosmo mentre il groove di Crump è fitto e profondo, come una jungla dell’africa più nera trascinando il tuo corpo in preda ad una posseduta danza delirante. Un’estetica quasi mistica, da stregoni e danze woodoo, piedi nudi e sonagli alle caviglie: “Absorbing and infectious, this is jazz about not only the mind but the body”, mi dirà Iyer nel dopo concerto. La linea di Iyer è difficile da seguire. Non in senso negativo… nel senso che lo senti, c’è ed è lì, ma il sound del trio è così compatto, possente e massiccio da formare un unicum inscindibile. L’approccio del trio non è “solista” ma piuttosto uno sviluppo corale verso un momentum di energia collettiva. L’enfasi non è sulla successione dei soli, ma sull’interazione del gruppo… Uno splash che è una frustata chiude questa danza tribale facendoci scattare in piedi scatenando un applauso assordante.
Si susseguono uno dopo l’altro, scanditi solo da grandi e appassionati applausi, quasi tutti i pezzi di Accelerando (ACT, 2012, già pluripremiato), l’ultimo capolavoro del Trio dopo Historicity (ACT, 2009 – Grammy per miglior disco jazz del 2009 e miglior disco 2009 da Downbeat). Un sound guidato da forze cosmiche, intossicato dalle esperienze terrene del ritmo. Il trio, telepatico, goes deep and wide. Da composizioni originali di Iyer (laureato in Matematica e Fisica a Yale, dal 2014 prof. di Musica a Harvard), ad arrangiamenti di Ellington, fino a interpretazioni veramente sorprendenti di recenti pezzi pop e funk, dalle sonorità indiane (Iyer è originario dell’India), africane, javanesi (si Javanesi ok!?), ma anche Bud Powell, Max Roach e un pizzico di Monk e poi Jimi Hendrix e James Brown. Brani come “Optimism”, “Little pocket size demons” (di Threadgill) e “Village of the Virgins” (di Ellington) sono solo tre esempi di questo “mix”. Un mix speziato e pastoso, un boccone piccante dal sapore intenso e duraturo. Ancora oggi che scrivo ne sento i sapori, e mi sento “pieno”, “sazio”. Una chenchachione mai provata.
Dopo un lunghissimo applauso il trio concede il bis con “Human Nature” (Michael Jackson) lasciandomi questo “motivetto” addosso per tutto il viaggio di ritorno.
(Martino A.L. Spreafico)