FREE FALL JAZZ

Foto di DMV Comunicazione/Titti Fabozzi

Archie Shepp sull’afrocentrismo del jazz (o, per dirla con parole sue, di “quella parola inventata dai bianchi per descrivere l’esperienza afroamericana”) ha sempre avuto idee forti e non troppo inclini a compromessi. Fa strano vederlo dividere il palco con musicisti dall’epidermide tutt’altro che scura (bianchi che, citando la stessa intervista, “hanno imitato tutto dei neri”), per di più a suonare canzoni che con “l’esperienza afroamericana” non hanno proprio nulla a che spartire.

Grande apertura mentale o, più maliziosamente, professionista ben retribuito, ma quale che sia non ci interessa: non è un processo alle intenzioni il nostro, quanto un’analisi dei risultati. Il quartetto di Archie Shepp, come annunciato, si è infatti esibito all’ormai storico appuntamento di Pomigliano accompagnato dall’Orchestra Napoletana di Jazz cercando di imbastire un ponte tra due tradizioni antipodiche come la musica nera americana e la canzone classica partenopea (e, come vedremo, non solo).

Quando l’orchestra – diretta come sempre da Mario Raja – sale sul palco (da sola) per intonare ‘Era De Maggio’, l’impressione è di trovarci di fronte all’ennesima puntata di quell’abitudine tutta italiana di rileggere melodie ben note con qualche tromba e qualche sassofono in modo da regalare al pubblico casuale qualcosa di “jazz” che possa metabolizzare senza eccessivo sforzo. Da lì in poi, il concerto sarà un ottovolante di picchi verso l’alto e verso il basso. La “fusione” sembra funzionare quando Shepp arriva sul palco e il suo sax impreziosisce una rilettura di ‘I Say I’ Sto ‘Cca’ (dal repertorio del primo Pino Daniele), ma qualunque buon proposito si sgretola al risuonare di una “simbolica”, terrificante introduzione a suon di tarantella aggiunta alla ‘Miss Toni’ scritta da Charles Greenlee e resa celebre da Eric Dolphy. È un peccato, anche perché, tolte quelle battute iniziali, resterà uno dei momenti migliori della serata, la quale prosegue in maniera un po’ random: qualche pezzo suonato solo dal quartetto (altra ottima parentesi), due pezzi cantati dallo stesso Shepp, qualche altro classico napoletano (‘Torna A Surriento’:  “Da ragazzino la cantavo, a Filadelfia c’era una forte comunità italoamericana”, dice), un estratto da ‘La Gatta Cenerentola’ di Roberto De Simone e finanche una splendida versione collettiva (nella quale il sax di Marco Zurzolo si ritaglia lo spazio per un assolo travolgente) di ‘U-Jamaa’, con tanto di gradita citazione a ‘Prelude To A Kiss’.

L’interazione tra il quartetto e l’orchestra è buona, la forma di Shepp anche (durante uno dei pezzi cantati tira fuori un acuto finale incredibile per un uomo di 76 anni, chapeau), ma, forse per offrire qualcosa di diverso a chi in questa stessa sede il sassofonista lo ha già visto tre anni fa (io non c’ero, ma una persona che talvolta imbratta queste pagine mi conferma che fu una gran serata), la carne al fuoco è troppa: l’intento sarebbe accontentare tutti, ma il prodotto è sfilacciato e cerchiobottista. I momenti buoni tuttavia bastano a farci tornare a casa sufficientemente soddisfatti, e comunque finchè Pomigliano Jazz continuerà a portarci monumenti come questi a un passo da casa, per giunta gratis, il bicchiere sarà sempre mezzo pieno. (Nico Toscani)

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