In potenza, Okkyung Lee potrebbe suscitare forse più interesse tra gli affezionati di nomi dalle influenze grossomodo neo classiche (diciamo dai Dark Sanctuary agli Elend, finanche Amber Asylum) piuttosto che tra chi segue gli artisti di cui solete (speriamo) leggere su queste pagine, eppure ‘Noisy Love Songs’ è stato lanciato e promosso soprattutto nel circuito jazz, “colpa” della parentela (in senso figurato) che unisce la violoncellista coreana col suo mentore John Zorn, che ne patrocina le uscite tramite la Tzadik. Rispetto ai nomi citati, quello di Okkyung è un neoclassicismo dai toni certamente più scarni e meno elaborati, musica da camera che si sposa con umori downtempo (‘Roundabout’) e richiami ai Dead Can Dance più “esotici” (l’ottima ‘King’), momenti, questi ultimi, in cui il sestetto (che oltre al violoncello si avvale di violino, tromba, piano, basso, percussioni ed elettronica) sembra procedere al massimo delle proprie potenzialità.
La parentela col jazz inizia a intravedersi nel momento in cui sale in cattedra la tromba di Peter Evans (‘One Hundred Years Old Rain’, la meravigliosa ‘Yellow River’) o la Lee si concede a improvvisazioni a tratti memori di Daniel Levin, per poi esplicitarsi nei due episodi in cui la coreana divide il songwriting col succitato trombettista o col pianista Craig Taborn (‘Saeya Saeya’ e ‘Danji’), di sicuro quelli maggiormente assimilabili al free jazz vero e proprio.
In realtà stiamo semplificando per sommi capi: ‘Noisy Love Songs’ è un disco dalle molteplici sfaccettature, che sin dal titolo si nutre di contraddizioni, capace di far convivere nello stesso brano rilassanti carillon e sfuriate zorniane, pianoforti tenui e atmosfere tese. Chi ama giocare sul sicuro passi oltre, potrebbe rimanere disorientato; tutti gli altri non hanno scuse per perderlo. (Nico Toscani)