FREE FALL JAZZ

Fisico da wrestler e risata dirompente, Arnold Strickland è un chitarrista jazz newyorkese che NON è parente dei gemelli Marcus e EJ, ed è impegnato in moltissimi progetti… ma molto probabilmente non avete mai sentito parlare di lui! Questo, comunque, non è un buon motivo per ignorarlo, visto che il buon Arnold, conosciuto tramite amicizie in comune, ha molte cose interessanti da dire ed è pure molto affezionato all’Italia. Lasciamo che sia lui a presentarsi:

“Arnold Strickland è un chitarrista jazz progressivo che fa base a New York. E’ conosciuto per il suo stile d’avanguardia e la sua abilità di suonare e fondere diversi stili nella sua musica. Ha registrato con jazzisti peso massimo come Nasheet Waits e Rodney Kendricks, ma poi può cambiare tutto e suonare con celebrati musicisti reggae Burning Spear e Num H.S. Amun Tehu, vincitori di Grammy, oppure può essere visto nel circuito live newyorkese come membro del gruppo hip-hop sperimentale The Devil’s Playground, o ancora alla guida del suo trio di jazz d’avanguardia. Ha suonato, registrato o si è esibito con alcuni dei maggiori nomi della scena contemporanea. Tra i suoi traguardi, esser stato il chitarrista della house band al Blue Note di New Yorke e la laurea alla prestigiosa scuola di musica di Berklee.”

Formale? Un po’ sì, ma questa è solo la presentazione “ufficiale”. Leggete il resto!

Di cosa di stai occupando al momento?
Beh, al momento ho la grandissima fortuna di poter suonare, collaborare, aver relazioni di lavoro con alcune delle menti più creative del mondo. Per la maggior parte del tempo suono col mio trio jazz, ma lavoro pure come sideman per altri musicisti. Un progetto di cui sono particolarmente orgoglioso è la mia partecipazione, in veste di co-leader, al gruppo d’avanguardia Stric9. Tra le altre cose che sto facendo, val la pena di nominare la mia esperienza al fianco del Padrino dell’Acid Jazz, il grande hammond-ista Reuben Wilson. Faccio parte del complesso hip-hop The Devil’s Playground. Insegno per conto del Bronx Arts Ensemble e sono professore associato di chitarra e musica al computer presso la City University Of New York. E ci sono pure altre cose…

Come va la scena newyorkese, in questi giorni?
Buona domanda… secondo me la scena newyorkese va davvero alla grande! Per prima cosa, il jazz è un’istituzione americana. E la cosa importante di New York è che New York è cuore e anima di tutto il jazz. Influisce il fatto che molti grandissimi del passato vi hanno fatto base, ma anche perché tutti prima o poi ci passano per registrare o per suonare dal vivo. Inoltre parecchia case discografiche hanno i loro uffici in città, e molti jazz club dei più storici e rinomati si trovano sempre qui. Questo non significa che nel resto del mondo non ci siano grandi musicisti o grandi festival o grandi club! Ci sono! Ma qui ne sorgono spesso di nuovi e innovativi. Mi piace segnalare lo ShapeShifter Lab: è un meraviglioso spazio musicale che usa il meglio della tecnologia moderna. Puoi regolare il tuo sound in un istante grazie ad un’applicazione telefonica scritta dal proprietario, Matt Garrison. E’ assolutamente incredibile!

Pensi sia corretto parlare di una “scena jazz” come di un concetto unico, oppure come di un insieme di scene ormai separate che ogni tanto si sovrappongono? 
Certamente la scena appare fratturata, su diversi livelli.  Nella sola NY abbiamo i nazisti del bebop (dice proprio “bebop nazi guys”, nda), quelli del BAM (“Black American Music” secondo la definizione di Nicholas Payton, nda), i tradizionalisti, quelli del free, quelli del jazz europeo, quelli del jazz gitano, quelli completamente privi di blues e swing, e poi qui e là e su e giù… A me va benissimo, perché è tutta musica! E come ho scoperto da tempo, il bello della musica è che non respinge nessuno, indipendentemente dal suo livello. La cosa più bella sarebbe che tutti noi musicisti jazz mettessimo da parte crociate ed ego, e ci limitassimo ad essere noi stessi: potremmo davvero avvicinarci gli uni agli altri per amore per la musica e aiutarci, indipendetemente dai nostri punti di vista in conflitto. La musica ne trarrebbe un grande beneficio!

A me sembra che, negli ultimi vent’anni, la chitarra si sia fatta sempre più spazio nel jazz. Mi chiedevo se dipendesse dal fatto che il musicista jazz di oggi è cresciuto pure col rock nelle orecchie, ma questa è solo una mia teoria. Tu che ne pensi?
La chitarra è importante nel jazz da diverso tempo, ma la storia del rock è interessante e bisogna considerare la questione oltre gli ultimi vent’anni, come concorrenza di diversi fattori. Per lo strumento in sé, pensa a Charlie Christian, un musicista ai suoi tempi molto noto ed estremamente influente. Dizzy Gillespie ha detto più volte di aver tratto preziosi insegnamenti dalla sua musica. Poi Tal Farlow ha aggiunto allo stile di Christian la sofisticazione armonica di Art Tatum. Poi sono arrivati Grant Green, Wes Montgomery, Les Paul, George Benson, Pat Martino e molti altri grandi musicisti, che non sempre avevano vibrazioni rock nel loro modo di suonare. Quindi la chitarra è parte integrante dello sviluppo del jazz. Per quel che riguarda la questione del rock hai ragione. Come molti musicisti della mia generazione sono cresciuto con un sacco di rock nelle orecchie, e ha finito in qualche modo per influenzarmi – non l’ho mai rinnegato, come non ho mai rinnegato tutti gli altri generi che mi hanno appassionato prima di dedicarmi seriamente al jazz. Ma credimi, Jimi Hendrix, il più grande chitarrista della storia del rock, uno dei maggiori innovatori della storia della musica, un’influenza enorme su di me e su innumerevoli altri musicisti jazz, è stato uno dei mezzi principali attraverso cui il rock è entrato nel mondo del jazz, grazie all’interessamento di Miles Davis e Tony Williams, a loro volta grandi innovatori. Ne parlavo proprio di recente con Wallace Roney! Secondo lui, Tony Williams era davvero molto influenzato da Hendrix. Lui fece conoscere Hendrix a Davis e lo convinse ad introdurre una chitarra elettrica per la prima volta su ‘Miles In The Sky’. Nel frattempo, dal lato rock’n'roll, Mitch Mitchell, batterista di Hendrix, era molto influenzato da Tony Williams ed Elvin Jones. E mentre Tony parlava a Miles di Jimi, pure Betty Davis, moglie di Miles e musicista di grande talento, faceva lo stesso. Quando alla fine Miles ascoltò Jimi, grazie all’insistenza di Tony e Betty, per lui fu una vera rivelazione, e la musica fu cambiata per sempre. Tony Williams poi, coi suoi Lifetime, trovò in John McLaughlin un chitarrista à la Hendrix ed esplorò quella musica partendo dall’avanzato jazz che aveva fatto con Davis. Il passo successivo non potè che essere ‘Bitches Brew’, perché Davis vedeva più lontano di tutti!  Sappiamo che i tre, Miles, Tony e Jimi, volevano mettere insieme una superband, chissà dove sarebbero arrivati… Comunque, la fusione di jazz e Hendrix ci ha dato musicisti come John Abercrombie, Al Di Meola, Mike Stern, Sonny Sharrock, James “Blood” Ulmer, Allan Holdsworth e altri ancora che hanno avuto molta influenza su noi jazzisti più giovani, settando lo standard per lo strumento oggi. Adesso torniamo al 21esimo secolo, se posso alla mia band Stric9. Con Nasheet Waits alla batteria e Greg Lewis all’hammond, è parzialmente influenzata dai Lifetime di Williams, in particolare dal capolavoro ‘Emergency’. Cavolo, quella musica era davvero avanti! Con il nostro prossimo cd, ‘Invasion Of The Booty Snatchers’, cerchiamo a nostro modo di uscire dai confini, come i nostri idoli Miles, Tony e Jimi, unendo jazz, blues, rock e hip-hop in una miscela di suoni originale, densa e imprevedibile. Negli ultimi sei anni ho pure integrato un computer e un midi nel mio set, elaborando una serie di concetti interessanti con gli Stric9. Programmi come Reaktor e Ableton Live ti cambiamo il modo di fare musica, ma anche il modo di ascoltarla.

La contaminazione con l’hip-hop (dal ritmo all’arrangiamento dei fiati, in qualsiasi modo la si voglia intendere) è una grossa corrente del jazz odierno – almeno dal punto di vista creativo. Per me almeno, una delle più interessanti vie per rinnovare il mainstream. Cosa ne pensi?
Credo che “contaminazione” sia un termine sbagliato, anche se capisco cosa vuoi dire!  Come per il rock, un sacco di noi jazzisti è cresciuto coi suoni dell’hip-hop. In tutto il mondo, certo, ma in particolar modo noi neri americani. Ora non fraintendermi, ci sono pure tantissimi musicisti jazz a cui dell’hip-hop e della sua cultura non può fregare di meno. Personalmente, lo adoro. Ho persino fatto il DJ in serate hip-hop da ragazzo. Quando io e Greg Lewis abbiamo formato gli Stric9 abbiamo cercato un batterista che avesse pure lo spirito hip-hop. Abbiamo provato un sacco di grandissimi musicisti, ma nessuno di loro aveva quelle particolari vibrazioni che volevamo noi! Oppure, se le avevano, mancavano delle giuste abilità jazz. Quando è arrivato Nasheet Waits eravamo al settimo cielo, perché sa suonare in maniera molto libera ma allo stesso tempo fa pulsare il tempo. Quello che volevamo! Tornando alla domanda, sono molti i musicisti jazz influenzati dall’hip-hop: Roy Hargrove, Robert Glasper, Ingmar Thomas, i Soulive, e sono solo i primi che mi vengono in mente. E’ tutto parte dell’Esperienza Musicale Nera, ma personalmente è proprio una parte del mio bagaglio musicale che non nego affatto perché mi piace davvero. Quando insegno musica elettronica, e sono uno dei pochissimi qui a New York a farlo, insegno essenzialmente musica hip-hop ma ci metto quanto più jazz posso.

Esperienze dall’altro lato della barricata?
La scorsa estate mi hanno invitato ad un festival chiamato “Return To The Bubble Kingdom”, il più grande concerto tenuto a New York lo scorso anno. E di molto! Sono stato l’unico musicista jazz invitato in mezzo ad un mare di musicisti elettronici e la folla ha reagito molto bene. Un’esperienza davvero interessante, che spero di ripetere.

Ogni musicista jazz ha avuto qualche mentore. Chi è stato il tuo?
Prima accennavo alla mia collaborazione con Reuben Wilson. Quando mi sono trasferito la prima volta a New York sono stati proprio Reuben, il batterista free Beaver Harris, il chitarrista soul jazz Melvin Sparks e alcuni altri ad incoraggiarmi ad essere aperto di mente e a conoscere nuovi stili di musica. Io e il mio grande amico James Carter abbiamo suonato tutte le settimane ad Harlem con Reuben, dalla metà alla fine degli anni ’90: non avrei mai potuto avere una scuola di musica migliore! Nel trio con Beaver Harris usavamo differenti bassisti; Beaver voleva insegnarmi a diventare un leader, e quindi insisteva perché il trio fosse a mio nome! Sarò sempre in debito con lui, mi ha dato tantissimo. Penso che nella vita, in generale, ci voglia qualche mentore. Continuo a suonare con Reuben qui a New York, e volevamo pure organizzare un tour europeo…

Contatti:
Arnold Strickland: sito ufficiale e Facebook
Stric9: Facebook e Reverbnation
The Devil’s Playground: Reverbnation

(Intervista raccolta da Negrodeath)

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