FREE FALL JAZZ

I dottori ancora non si fidano a lasciarmi andare. Dicono che quello che ho scritto sul Festival finora è un buon passo avanti, ma non basta. Dicono che devo sputare il rospo bello intero… come una lavanda gastrica… dicono che è meglio se scrivo ancora. Dicono…

5 Luglio, Milano. Mi alzai prestissimo quella mattina. I postumi di una serata in birreria fecero rimbombare il trillare molesto della sveglia dentro la cassa cranica come se un neurone, ormai solitario e sconsolato, avesse suonato un gong gigante. Era l’alba… bisognava partire presto, evitare orari di punta e quindi il traffico e ingorghi vari; insomma, una partenza intelligente… Dopo due ore di coda sull’A1 mi sentii molto stupido.

Il mitico pandino, scalò il passo del Gran San Bernardo in gran scioltezza. Su su su e poi giù giù giù, diretti verso il Montreux Jazz Festival. Check – in all’albergo, doccia rapida e via on the road again (al solito, l’unico albergo abbordabile stava a 30km dal Festival). Avevo organizzato tutto, sul website del sito era tutto chiaro: “Free Parking near the Festival Area” diceva. Entrato in Montreux cercai subito questo Free Parking… Un cartello arancione recitava: P JAZZ. Eccolo! Lo seguii… e beh, si capisce che siamo in Svizzera, tutto ordinato, chiaro, preciso… gneeeeeee! Frenai di colpo! Il cartello portava dritto dritto in un’isola pedonale. Sventato il bis del “sacro macello” per un soffio, ingranai la retromarcia. Un esercito di capre d’assalto, guidate da un Peter in assetto guerrilla montana, mi invitò gentilmente, con molta pacatezza e serenità, a fare retromarcia verso quel paese, come si chiama dai… c’è anche qua in Italia… Affan.. Affan… no, non mi viene. Va beh. Optai per un parcheggio sotterraneo a 20 franchi al secondo con prelievo di reni, cistifellea e pancreas dopo i primi 30min. Fatto testamento, parcheggiai.

Avevo con me una sporta di tela con Komeda di Możdżer, My history of Jazz di Rantala, Wasted and Wanted di Wollny (nella speranza di raccogliere qualche firma), la camicia buona per la sera, un salamino e un tocco di pan di segale, come un buon Waltellinese all’avventura. Avevo anche una foto di Siggi Loch nella lontana speranza di poterlo incontrare… “Ma figurati se ci sarà dai… son qua tutti per te Martin!?!?”. Appena uscito dal parcheggio mi esibii in un salto carpiato triplo con avvitamento all’indietro: a pochi metri da me Siggi Loch in persona aveva appena parcheggiato. Che faccio!? Vado, non vado!? Ma no è maleducazione… è appena arrivato, sta scaricando le valigie, i cani, parla con la moglie… sparì nella hall di un elegante albergo. Convinto di aver perso un’occasione d’oro, mi riavviai affranto e sconsolato verso il Festival, allo Stravinsky Center, centro nevralgico del Festival, dove il mio pass mi stava aspettando.

Una lunga fila di bancarelle delineava il lungo lago. C’era molta gente, era una soleggiato venerdì pomeriggio. Una festa. Orde di neo-hippie danzanti pluritatuati a petto nudo, sfrecciavano su longbord, lanciando in aria diabli vari, e chiedendoti qualche spiccio per le povere bestie che si trascinano dietro (i cani eh…). Ora, io non sono cintura nera di orienteering, ma veramente non si capiva una mazza. Piccoli cartelli (sì molto carini e colorati per carità) indicavano vie, club, ristoranti, parcheggi e parrucchieri. Niente corrispondeva a niente. Sotto un arco che recitava fluorescente “Montreux Jazz Festival”, presi una mappa. Confuso più di prima chiesi ad una bancherella con scritto “Festival Infos”. “We are not from the festival”! Degno del più impacciato Fantozzi protestai “Aaah, ma come…!? Festival… tu… no…Ah”. Alzando le spalle me ne andai afflitto. Dopo lungo vagare riuscii a trovare l’entrata dello Stravinsky… Ooooh, perfetto: “Apre alle 15, sono le 15.30… dai, bene, non devo neanche aspettare…”. Chiuso. Mh. La famigerata puntualità svizzera acquistò una vaga aurea leggendaria.

Ritirato il pass, uscì dal mediacenter manco avessi vinto la guerra dei cent’anni. Petto gonfio e spalle indietro, esposi il mio cartellino al mondo. Rimasi fermo 5 minuti buoni… almeno uno mi chiederà un autografo… niente va beh… Bom, che fare?! Avevo 4 ore prima della ACT Night, e già avevo l’ansia. Vagabondai in giro a zonzo, poi decisi per la Solo Piano Competition, presidente della Giuria: Iiro Rantala.

Persi un’altra ora buona a trovare la sala della competition, che è sempre stata davanti al mio naso, ma le indicazioni mi hanno fatto fare il giro dei quattro cantoni. Arrivai in ritardo e mi fecero entrare dopo la seconda performance. L’elegante sala dell’albergo era mezza vuota… Rantala stava là davanti, nel tavolo della giuria. Di fianco riconobbi subito gli occhiali dalla spessa montatura nera del patron della ACT, Mr. Loch. Finite le esibizioni, seguii Rantala e Siggi con lo sguardo. Entrarono nella sala riservata ad artisti e press. Mannaggia, avrei dovuto intercettarli prima, pensa te, la stampa ha sempre accesso a tutto mentre un povero disgraziat… un momento… così come Frodo si ricrodò del dono della Dama Lorién, estrassi il mio pass di Elendil ed entrai nella sala riservata.

Siggi Loch aveva appena finito di Parlare con Rantala, Mi avvicinai piano. Lui mi sorrise, mi presentai ossequioso, e mi firmò la foto: “Qui avevo 26 anni” disse, “tu quanti anni hai!?” “26″ risposi. Sorrise sotto i baffi.

Firmò anche Rantala. Li salutai con una bella stretta di mano e ci demmo appuntamento al Jazz Club, per la ACT Night. Appena sparirono dalla visuale, cercai il cd autografato da Rantala come un vegano pentito cerca una bistecca al sangue. “Parbleu!” esclamai, ma quello che pensai aveva più a che fare con divinità e suini di vario tipo: il sudore delle mie impacciate mani scolorì la firma.

Avevo ancora due ore libere, decisi che era ora di uno spuntino. Poi ci sarebbe stata l’ACT Night al Jazz Club.

La serata finì tardi. Molto tardi. Riuscii a scambiare due chiacchere con Wollny davanti a due birre. Gongolai per tutto lo Stravinsky Center con lo staff del Media Center. Tornai in albergo a stento. Gira voce per la Valle che quella sera una macchina italiana sfrecciò sull’autostrada in retromarcia. Anche in questi casi, il pandino è una certezza.

Mi svegliai comunque presto. Deciso a godermi tutta l’ultima giornata al Festival, tracannai due Red Bull alle 8 del mattino e, tempo 30 secondi, fui di nuovo sul lungolago di Montreux. Ore 9.27… Il Deserto. Feci amicizia con una palla di fieno vagabonda. Passammo molte ore insieme, su e giù per il lungolago. Ci salutammo con affetto verso le tre post meridiane, quando la folla ricominciò ad animare l’atmosfera. Alle 6, mi aspettava la finale della piano competition. Questa volta c’era il pienone. I finalisti (quattro e non tre come previsto. La giuria decise di dare una seconda occasione a un partecipante) sfoggiarono molta, moltissima tecnica, ma, alle mie orecchie, poca passione. Tutti, tranne uno: Jerry Leonide, il vincitore. Insieme ad un’abilità lodevole, emozionò platea e giuria. Il primo premio (10.000 CHF, un orologio patacca dal valore di 20.000 CHF, un contratto e un’apertura allo Stravinski; mancava solo “e sti cazzi” che non hanno messo per via della crisi. Fa niente, ne ho offerto io uno bello grosso. In un attimo capii di aver sbagliato tutto nella vita) fu suo. Salutai per l’ultima volta Siggi e Rantala. “Keep in touch”.

Tornai verso il parcheggio, in fondo al lungolago. Salutai lo Stravinsky Center, il Jazz Club,  lo Chalet d’en Bas (l’archivio di Nobs), gli hippie e le bancarelle. Alla fine della passeggiata c’era un piccolo porticciolo. Un barchino ormeggiato stava a galla a stento. Sul tetto, stagliati nel caldo tramonto, un improvvisato duo (una tromba, accompagnata da una tuba) mi salutò con un romantico blues. Tra la folla, alzai un braccio in segno di ringraziamento. Esitati ancora qualche istante quando infine mi esportai l’ultimo rene per pagare il parcheggio, e ripartii verso casa. Tears on the water, and pandino in the sky. (Martino A. L. Spreafico)

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