FREE FALL JAZZ

Questo album è un po’ la summa di uno dei tanti “what if…” della storia del jazz, in particolare del “cosa avrebbe potuto fare X non fosse morto così presto”. Sonny Clark, pianista dallo stile bluesy e percussivo, figlio diretto di Bud Powell e Horace Silver, vantava pure notevoli qualità di arrangiatore e una solida esperienza di accompagnatore quando, nel 1957, potè finalmente esordire con il suo primo disco. Su Blue Note, per di più, casa discografica che avrebbe pure fatto di Sonny il suo house pianist, non fosse stato per i gravi problemi di tossicodipendenza. ‘Dial “S” For Sonny’ si inserisce autorevolmente nello scenario dell’hard bop, in quegli anni appena cominciato, in perfetto bilico fra il grintoso Miles Davis di ‘Walkin” e i contemporanei quintetti di Silver e Golson. La title track e ‘Bootin’ It’ ricalcano apertamente il modello del capolavoro di Davis del ’54: tre fiati nella frontline (Art Farmer, Curtis Fuller, Hank Mobley), un pezzo dal ritmo swingante a tempo medio seguito da un altro ad alta velocità, riff eccitanti e tanta immediatezza espressiva all’insegna del blues. ‘It Could Happen To You’ fa da pausa di riflessione, ed è interessante come i musicisti tirino fuori il blues implicito nella melodia mantendone, allo stesso tempo, lo spirito pensoso e malinconico. ‘Sonny’s Mood’, l’incalzante ‘Shoutin’ On A Riff’ e l’arrangiamento di ‘Love Walked In’ (in piano trio) dimostrano, con transizioni scritte, disegni ritmici obbligati e assoli sempre ben connessi con la melodia del tema, quanto Clark avesse studiato e fatta propria la lezione di Horace Silver. Sui musicisti in questione, c’è ben poco da aggiungere, visto che Art Farmer e Hank Mobley costelleranno tutte le vostre discografie e Curtis Fuller, sebbene meno noto, era comunque il trombonista di fiducia dell’hard bop e di lì a poco entrerà in una delle migliori formazioni dei Jazz Messengers.

E’ un vero peccato che oggi, per molti, Sonny Clark sia “quel tipo omaggiato da John Zorn”. Questa recensione, che non riguarda nemmeno il suo disco migliore, è un invito a riscoprirlo – quando non a scoprirlo per la prima volta.
(Negrodeath)

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