FREE FALL JAZZ

Ne abbiamo parlato spesso: gente che si trova a un punto della carriera (artistica ma non necessariamente musicale) più o meno morto, e allora tenta la fatidica carta del disco jazz per “rifarsi una verginità”. Qualche volta la mossa riesce bene – penso a Lee Aaron o a Marla Gibbs – altre volte non brilla, ma neanche fa troppi danni (come il disco di Molly Ringwald di cui abbiamo parlato di recente), ma nella maggior parte dei casi ci troviamo davanti a schifezze senza possibilità di redenzione (non ultimo il buon Joe Jackson che si avventa sulla carcassa di Ellington). È sulla scia di questi che andiamo a ripescare dal passato recente un’iniziativa analoga come ‘Passing Strangers’.

La carriera di Tony Hadley comunque, almeno quella solista dopo i fantastilioni di copie venduti con gli Spandau Ballet, più che a un punto morto non era mai decollata: dell’uscita di ‘The State Of Play’, l’esordio in proprio, se ne accorse giusto qualcuno in Italia (paese dove, strano ma vero, gente come Spandau e Duran ha continuato a mantenere uno zoccolo durissimo anche quando il resto del mondo provava a seppellirli nell’oblio delle vecchie glorie con malcelato imbarazzo). Il resto fu quasi meno brillante: apparizioni nostalgiche e un secondo album composto per lo più da cover. La riappacificazione coi fratelli Kemp per riformare l’antico sodalizio sembrava ancora un’utopia quando, nel 2005, il sempiterno Paul Anka se ne uscì con ‘Rock Swings’, un (pessimo) album in cui una serie di classici del pop/rock ’80 e ’90 venivano trasformati in robaccia da balera che avrebbe messo in imbarazzo pure il barista guercio del più infimo locale ai bordi di Las Vegas. Ma cosa c’entra questo con Tony Hadley? C’entra, perché uno dei brani di ‘Rock Swings’ era proprio ‘True’, vecchio hit degli Spandau Ballet. Chissà che non sia stata proprio quella versione a far scattare nella testa del cantante inglese la fatidica molla che lo spinse a ricordarsi di essere – parole più o meno testuali – un grande fan di Tony Bennett.

‘Passing Strangers’ è di un tedio interminabile: dura più di un’ora e vede Hadley riproporre in lungo e in largo tutti gli standard che ci si aspetterebbero in un disco del genere (da ‘Too Close For Comfort’ a ‘Love For Sale’ passando per ‘Wives And Lovers’ e ‘Just A Gigolo’) e persino qualcosa di proprio (‘Star’). Va riconosciuto che la sua voce sia adatta a permettergli di riciclarsi come cantante swing, ma il disco suona davvero più plastificato di qualunque cosa abbia mai prodotto in carriera (fatevi i conti). Le ballate ammorbano, i pezzi veloci imbarazzano, l’orchestra non incide: un disco potenzialmente destinato alle ragazzine che trent’anni fa gli lanciavano le mutandine sul palco e che oggi, sposate e con prole, sospirano guardando Michael Bublé in televisione. To cut a long story short (cit.): se vi capitasse di scorgere ‘Passing Strangers’ nel vostro cestone delle offerte di fiducia lasciatelo lì, anche se costasse due euro e ‘Through  The Barricades’ fosse l’album della vostra vita.

E comunque nessuno riuscirà mai ad appropriarsi di ‘Just A Gigolo’ meglio di David Lee Roth.
(Nico Toscani)

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