FREE FALL JAZZ

Giovedì 25 Aprile 2013, 316 km in 7 ore di macchina affrontando maltempo, irti (ma famigliari) passi alpini e code per lavori in corso come non ci fosse un domani. Meno male che il pandino 4×4 è una certezza. Sali su un passo, scendi giù per la valle, sali su un altro passo, fermati in dogana (sì, la dogana: “Was Sie bringen in Switzerland?!”), entra in Svizzera, esci dalla Svizzera, entra in Germania, c’è coda, bestemmie pesanti, fa caldo, check-in, doccia, risali in macchina perché l’albergo più economico che hai trovato è a 30 km dal concerto, imposta il navigatore: Singen, Baden Wüttemberg, Deutschland.

Poco male: sono in anticipo. Mi faccio un girettino nella piccola e caratteristica cittadella nei pressi del Lago dei Quattro Cantoni. Vicino al GEMS, il teatro dove ci sarà lo spettacolo, c’è un ristorante. La voglia improvvisa di una bella schweineschnitzel con un bel birrozzo di quelli che dico io prende il sopravvento e, senza pensarci più di tanto, eccomi al tavolo, pronto ad ordinare. “Mi scusi, ma questo tavolo è riservato”, puntualizza l’oste, ma ritratta subito con molta gentilezza: “Ma va bene comunque dai, sono solo in due: se per lei non è un problema…”. Nessun problema, ci mancherebbe. Aspettando l’ordine mi godo la bella serata primaverile nel bel giardino del ristorante. Tutto è avvolto da un dolce tepore; un po’ la stanchezza, un po’ l’emozione per il concerto… “Mi scusi, posso passare?!” Questa domanda mi fa trasalire: sono i due signori che hanno riservato il posto al mio stesso tavolo. Signori…  Sembran due ragazzi… Sono due ragazzi… Aspetta un attimo… “Wie clkvljdkfbsch asdjh lsdhgs  svruzz est!?” Domanda uno. Intontito e imbarazzato rispondo, col mio tedescaccio (che si ferma a “Ich möchte ein bier danke”) di non aver capito la domanda, di essere italiano… Gentilmente, i ragazzi passano all’inglese: “Oh, veramente?! Interessante! E cosa ti porta in Germania?!”… “Beh… Sono qui per voi!” Michael Wollny e Eric Schaefer sorridono stupiti e mi ringraziano, brindando alla mia.

Nonostante manchi la linea di contrabbasso (Eva Kruse ha appena avuto una bambina) il concerto è pazzesco. La struttura dei pezzi eseguiti si potrebbe così sintetizzare: intro di Schaefer, presentazione tema di Wollny, crescendo insieme, turni di solo e ripresa del tema in crescendo fino a esplosione finale. A grandi linee… Grandissime linee. Eric è scatenato: lui, la batteria, gli effetti (mi mangio ancora le mani per non avergli fatto i complimenti per ‘Who Is Afraid Of Richard W.?’, un bel progetto in cui, con Tom Arthurs e Volker Meitz e John Eckhardt, rivisita in chiave elettronic jazz alcuni brani di Wagner) bastano e avanzano per creare l’atmosfera, un tappeto spigoloso ed elettrico su cui Wollny danza il suo delirio. Un delirio compulsivo, che non lascia un attimo di tregua, ed eccoti scaraventato come un cencio e sbattuto come i cuscini nelle pulizie di primavera. Se si chiudono un attimo gli occhi, ci si stupisce a pensare come sia possibile che sul palco ci siano solo due persone. La pienezza del suono, tondo e avvolgente, viene a tratti tagliata dalle improvvisazioni, pungenti e frenetiche, di Wollny (che non sta fermo un attimo), per poi riagganciarsi al tema e crescere, crescere fino a fermarsi di colpo; il silenzio che c’è tra un brano e l’altro sembra il ronzio che senti nelle orecchie dopo i botti di capodanno. Ritmi incalzanti dal groove travolgente vengono così intervallati da improvvisazioni vorticose e sperimentali (Wollny passa metà del tempo in piedi e “giocare” con le corde del pianoforte a coda: hands on strings, equivalente del “palm mute” per la chitarra, con mani certo, ma anche bicchieri di vetro e carta straccia). Applausi e urla dal modesto pubblico del GEMS di Singen.

Ricordo di aver letto più volte che gli [em] (il trio di Wollny con Eric Schaefer alla batteria appunto e Eva Kruse al contrabbasso) sono considerati in casa ACT come gli eredi degli EST, straordinario trio con Dan Berglund al contrabbasso (ora leader dei Tonbruket), Magnus Öström alla batteria e il leggendario Esbjörn Svensson al piano, prematuramente scomparso in un tragico incidente. ‘Symphony No. V, Mov 1: Trauermarsch’, l’ultimo brano eseguito, cortesemente offerto dopo 5 minuti buoni di applausi e anche l’unico che si può trovare nel loro ultimo album ‘Wasted And Wanted’ (2012), potrebbe tranquillamente essere estratto da un disco degli EST, anche se, ascoltando bene, ho notato, ma solo in alcuni tratti (per esempio il rientro dall’improvvisazione al tema), un certo distacco, una certa separazione tra Wollny e Schaefer. Cosa che invece non si avverte nel trio di Svensson dove il sound è un muro compatto e infrangibile.

Un “nu jazz” dalle molte sfaccettature, giovanissimo e di grande qualità, premiato con l’ECHO Jazz 2013 come miglior ensemble tedesco per ‘Wasted & Wanted’ firmato, ovviamente, ACT Music.
(Martino A.L. Spreafico)

 

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